Donne prendetevi a cuore, non dimenticate la mente. Un appello del Centro Cardiologico Monzino in occasione del Wear Red Day, giornata mondiale per sensibilizzare le donne sul proprio rischio cardiovascolare
Milano, 1 febbraio 2018 – Il Centro Cardiologico Monzino, primo in Italia a dotarsi di un centro dedicato interamente al cuore delle donne (Monzino Women), aderisce al Wear Red Day, Giornata Mondiale promossa dall’American Heart Association per sensibilizzare il mondo femminile sul proprio rischio cardiovascolare. Venerdì 2 febbraio le donne sono invitate a indossare simbolicamente qualcosa di rosso, e il Monzino ricorda a tutte: siete diverse, prendetevi a cuore e non dimenticatevi la mente.
Le donne sono diverse, anche di fronte alla malattia cardiovascolare. A partire dalla consapevolezza dei propri fattori di rischio, differenti da quelli maschili, fino alla terapia a cui arrivano con ritardo perché sottovalutano i primi segnali di malattia.
Lo evidenziano i numeri: il 38% delle donne che ha avuto un infarto perde la vita entro un anno, rispetto al 25% degli uomini; il 35% delle donne con infarto ne avrà un altro entro un anno, contro il 18% degli uomini. Eppure, come dimostrano anche studi recentissimi, in presenza di terapia appropriata, la cura nella donna può essere efficace tanto quanto nell’uomo. Perché questa disparità nei dati?
“Abituate a sopportare il dolore e più propense a prestare attenzione agli altri – mariti, figli, familiari – piuttosto che a loro stesse, le donne troppo spesso non prestano importanza alle prime avvisaglie di un problema cardiovascolare e si presentano dal cardiologo tardi, quando la malattia è già avanzata e quindi più difficile da trattare”, spiega Elena Tremoli, Direttore scientifico del Centro Cardiologico Monzino. Ma non solo: “Osserviamo che anche dopo un evento cardiovascolare la donne tendono a non dare importanza alle terapie, mettendo più a rischio la propria salute e favorendo il ripresentarsi della malattia”.
Un problema che ha origine anche da una mancanza di consapevolezza. Sette donne su dieci ritiene l’infarto un problema per lo più maschile, trascurando prevenzione e diagnosi precoce. Ma le malattie cardiovascolari sono la prima causa di mortalità e malattia nelle donne con più di 50 anni. Per questo la donna ha bisogno di un’attenzione più speciale, a partire dalla prevenzione.
“Ancora troppe poche sanno per esempio che oltre ai fattori di rischio comuni a tutta la popolazione (familiarità, fumo, ipercolesterelomia, ipertensione, sovrappeso, diabete, solo per citarne alcuni) le donna ne ha di specifici – sottolinea Daniela Trabattoni, responsabile di Monzino Women – Per esempio certe problematiche ginecologiche, i trattamenti per il tumore del seno, e alcuni aspetti psicosociali possono aumentare in modo significativo il rischio cardiovascolare”.
Diversi studi evidenziano che stress, ansia, depressione sono un pericolo maggiore per le donne rispetto agli uomini: i vasi periferici femminili in condizioni di stress prolungato, invece di dilatarsi e consentire un maggiore afflusso di sangue al cuore, si restringono ostacolando il flusso sanguigno e ciò si traduce in un maggiore rischio di ischemia e infarto.
Le donne devono essere dunque sensibilizzate e accompagnate in un percorso specifico di prevenzione, diagnosi precoce e cura delle malattie cardiovascolari.
“Per questo più di un anno fa abbiamo avviato Monzino Women, un centro che offre concretamente questo percorso affiancandolo a un’attività di ricerca scientifica -dichiara Daniela Trabattoni- I dati preliminari delle prime cento donne visitate al Monzino Women, tutte senza sintomi né precedenti eventi cardiovascolari, confermano un quadro che richiede tutta la nostra attenzione: il 30% presenta fattori di rischio elevato, soprattutto ipertensione e ipercolesterolemia e abbiamo rivelato una presenza così significativa di ansia, depressione e stress, che abbiamo deciso di indagare ulteriormente i fattori di rischio psicosociale anche attraverso una ricerca ad hoc”.
“Ma abbiamo bisogno del supporto di tutta la società civile e della comunità medica – conclude Elena Tremoli – perché il problema è anche culturale: se da un lato nelle pratiche cliniche attuali si dovrebbe prestare più attenzione anche agli aspetti psicosociali, dall’altro anche le donne devono sapere che mente e cuore sono più collegati di quanto si possa immaginare e il loro benessere strettamente connesso”.