Lo dimostra uno studio osservazionale sugli Heart Team condotto dai cardiologi dell’Università Cattolica – Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS appena pubblicato su Journal of American Heart Association
Roma, 22 giugno 2022 – L’unione fa la forza. E dà ottimi frutti, soprattutto nell’interesse del paziente. L’ultima dimostrazione viene da uno studio osservazionale pubblicato su Journal of American Heart Association da medici e chirurghi del Dipartimento di Scienze Cardiovascolari di Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS-Università Cattolica.
Lo studio dimostra che il trattamento dei pazienti con valvulopatie complesse (cioè malattie delle valvole del cuore che compaiono in un paziente con tante altre patologie associate o in presenza di altre cardiopatie associate, come quella ischemica), effettuato sulla base di decisioni prese giorno per giorno da un Heart Team, non solo è fattibile, ma dà ottimi risultati nel trattamento di un ampio ventaglio di patologie.
“È dal 2014 che le linee guida interne del Gemelli (Percorso Clinico-Assistenziale per i Pazienti con Valvulopatie – ricorda il prof. Francesco Burzotta, responsabile UOS Trattamento delle cardiopatie strutturali della Fondazione Policlinico Gemelli e professore associato di Cardiologia, Università Cattolica del Sacro Cuore – raccomandano il consulto di un Heart Team, per la gestione di pazienti con malattie valvolari complesse; e le riunioni quotidiane di questo gruppo di specialisti, del quale fanno parte non solo cardiologi clinici, cardiologi interventisti, cardiochirurghi, chirurghi vascolari e anestesisti ma tutti i medici impegnati nell’assistenza ad un determinato paziente (oncologi, ematologi, ginecologi, geriatra, internisti, ecc.), consentono di prendere decisioni tempestive e di evitare ritardi decisionali. Le riunioni quotidiane e l’apertura a tutti gli specialisti coinvolti nella cura del paziente sono due caratteristiche peculiari del nostro Heart Team, che ci permettono di tracciare programmi terapeutici ‘su misura’, anche in casi veramente difficili”.
Quello delle valvulopatie è un campo da ‘attenzionare’, anche a livello organizzativo, poiché si espande sempre più con l’invecchiamento della popolazione. A disposizione di cardiologi e cardiochirurghi c’è ormai un ampio ventaglio di opzioni di trattamento, dalle tradizionali a quelle di ultima generazione sempre meno invasive, che spesso però devono fare i conti con problemi di sostenibilità.
Lo studio appena pubblicato ha raccolto le caratteristiche cliniche ed ecocardiografiche di oltre mille pazienti ricoverati in Fondazione Policlinico Gemelli per valvulopatia complessa, le raccomandazioni di trattamento a loro riservate, il loro rischio chirurgico (valutato con le scale validate quali STS-PROM e EuroSCORE II), eventuali terapie effettuate in passato e i primi esiti clinici del trattamento.
Endpoint principale dello studio era la mortalità precoce, cioè quella nell’arco di tempo compreso dalla diagnosi effettuata durante un ricovero, al periodo peri-operatorio (cioè nell’attesa dell’intervento o nell’immediato post-operatorio). “I pazienti inclusi nella valutazione – ricorda il prof. Burzotta – presentavano una complessità clinica importante (età media di 75 anni e rischio chirurgico elevato; la metà presentava anche cardiopatia ischemica, il 30% malattia renale cronica, il 9% patologie oncologiche o ematologiche). L’Heart Team ha individuato la possibilità di eseguire un intervento nell’80% dei casi (un dato rilevante vista la grande complessità di questi pazienti e il loro rischio operatorio elevato) e di un trattamento conservativo nel restante 20%”.
Tra i trattati, il 23% dei pazienti è stato sottoposto ad intervento cardiochirurgico, il 51% a trattamento percutaneo e il 6% a trattamento ‘ibrido’. “I cosiddetti trattamenti ‘ibridi’ – spiega il prof. Burzotta – rappresentano una possibilità terapeutica per alcuni pazienti valvulopatici estremamente complessi e la discussione di gruppo è ideale per una loro pianificazione appropriata. Per ‘ibride’ si intendono le procedure fatte a quattro mani dal cardiochirurgo e dal cardiologo interventista. Queste possono essere effettuate nella stessa seduta operatoria o in fasi diverse (in questo caso sono dette ‘staged’)”.
Il tasso di mortalità precoce registrato in questo studio è stato del 2,4%; i pazienti a maggior rischio sono risultati quelli con stenosi aortica, disfunzione del ventricolo sinistro, scompenso cardiaco avanzato e raccomandazione di trattamento conservativo. “Nei pazienti sottoposti a trattamento – commenta Burzotta – la mortalità osservata (1,7%) è risultata molto inferiore rispetto a quanto atteso sulla base dei modelli predittivi usati in tutti gli ospedali e raccomandati dalle linee guida (per questi pazienti la mortalità attesa era del 5,2% secondo le valutazioni di rischio chirurgico effettuate con il sistema STS-PROM e del 9,7% secondo EuroSCORE II); queste scale internazionali di valutazione del rischio operatorio in questo studio hanno anche fatto da benchmark, da riferimento, in assenza di un gruppo di controllo”.
Gli autori concludono dunque che questi risultati suggeriscono che un approccio decisionale basato sul parere di un Heart Team nei pazienti con valvulopatie complesse sia non solo fattibile ma permetta di utilizzare nel modo più appropriato per il singolo paziente un ampio ventaglio di interventi, con ottimi risultati clinici.
“Fin dal 2014 – commenta il prof. Massimo Massetti, Direttore del Dipartimento di Scienze Cardiovascolari di Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS, Ordinario di Chirurgia cardiaca all’Università Cattolica – abbiamo iniziato una riorganizzazione del “modo” di curare i pazienti inducendo un cambio del paradigma del nostro Dipartimento e la costruzione di un modello gestionale innovativo, che vede il paziente al centro dell’offerta di cura. Questo modello ha preso forma progressivamente e progressivamente è stato oggetto di valutazioni scientifiche. Lo studio appena pubblicato su JAHA, condotto su una popolazione di pazienti valvolari e che ha visto impegnate tante professionalità del nostro dipartimento, esprime esattamente la valutazione di questo modello innovativo di cura, che troverà piena applicazione nel nostro Heart Center, il centro ‘Cuore’, in fase di costruzione. E i risultati di questo studio ribadiscono la validità di questo modello centrato sul paziente e sul suo problema di salute. È questa la vera innovazione del nostro Dipartimento e dell’orientamento dei trattamenti in area cardio-vascolare, nel futuro del Gemelli”.
“Come trattare al meglio il paziente valvulopatico è una sfida quotidiana emergente per il cardiologo. Il consulto con i cardiochirurghi nell’Heart Team rappresenta un’occasione unica di disegnare un trattamento realmente centrato sul paziente. L’impressione era che fosse un metodo vincente, ma mancavano dimostrazioni scientifiche. I risultati di questo studio supportano invece l’implementazione dei processi decisionali basati sulla valutazione di un Heart Team nei pazienti con valvulopatie complesse. I primi a suggerire la validità di questo approccio sono stati la European Society of Cardiology e la European Association of Cardio‐Thoracic Surgery (ESC/EACTS) nelle loro linee guida del 2010 sulla Rivascolarizzazione Miocardica nei pazienti con malattia ischemica complessa. Molti ospedali non hanno però ancora a distanza di tanti anni dei meeting regolari di Heart Team, oppure hanno degli Heart Team composti solo di cardiochirurghi e di cardiologici interventisti, non aperti cioè agli altri specialisti coinvolti nella gestione del singolo paziente”.
“Come trattare al meglio il paziente valvulopatico – conclude il prof. Filippo Crea, Direttore UOC di Cardiologia della Fondazione Policlinico Gemelli e Ordinario di Cardiologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore – è per il cardiologo una sfida quotidiana. L’Heart Team rappresenta un’occasione unica per disegnare un trattamento realmente centrato sul paziente. L’impressione era che fosse un metodo vincente, ma mancavano dimostrazioni scientifiche. I risultati di questo studio dimostrano per la prima volta il valore dei processi decisionali basati sulla valutazione di un Heart Team nei pazienti con valvulopatie complesse. Purtroppo pochi ospedali in Europa hanno meeting quotidiani di Heart Team, oppure hanno degli Heart Team composti solo da cardiochirurghi e cardiologici interventisti, non aperti cioè agli altri specialisti coinvolti nella gestione del paziente. Le prime Società scientifiche a suggerire la validità di questo approccio sono state la European Society of Cardiology e la European Association of Cardio‐Thoracic Surgery (ESC/EACTS) nelle loro linee guida del 2010 sulla Rivascolarizzazione Miocardica nei pazienti con malattia ischemica complessa. L’importanza dell’Heart Team nella gestione dei pazienti con malattie valvolari è chiaramente evidenziata nelle Linee Guida sulle Malattie Valvolari che ho pubblicato nel 2021 sullo European Heart Journal. Il mio augurio è che l’evidenza scientifica prodotta nel nostro studio aiuti a diffondere l’implementazione sistematica di questo approccio vincente in tutti gli ospedali italiani. È finita l’era dei ‘solisti’: il lavoro di squadra è vincente!”.