Prof. Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani di Roma e membro del Comitato tecnico-scientifico che supporta la Protezione Civile per l’emergenza Covid: “La nostra vita deve cambiare in funzione di quanto riusciamo a controllare questo virus: più saremo capaci di farlo, mettendo in atto le misure di distanziamento sociale e gestendo al meglio le situazioni, più avremo benefici. Non dobbiamo pensare ‘tana liberi tutti’, né tantomeno avere posizioni demagogiche e antiscientifiche”
Roma, 28 aprile 2020 – “Non si può pensare di tenere il Paese totalmente chiuso, però ci vuole molta attenzione e i numeri devono essere la nostra bussola nella decisione. Ogni apertura significa per i cittadini del Paese assumersi un po’ di rischio, sarà compito nostro capire quante ulteriori limitazioni e ulteriori rischi siamo pronti ad accettare”. Così in un’intervista rilasciata via Skype all’agenzia Dire Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani di Roma e membro del Comitato tecnico-scientifico che supporta la Protezione Civile per l’emergenza, commenta le nuove misure annunciate dal premier Giuseppe Conte che di fatto dal 4 maggio daranno il via alla fase 2 del Coronavirus con una riapertura, seppur parziale e graduale, del Paese.
Fra pochi giorni sarà possibile spostarsi all’interno della regione per fare ‘visite mirate’ ai propri familiari, nel rispetto delle distanze e con le mascherine. Ma andare a trovare i nonni, che magari sono usciti per andare a fare la spesa o in farmacia, non potrebbe essere più rischioso rispetto a incontrarsi con un amico, che invece è rimasto sempre a casa?
“Dobbiamo definire un nuovo modello di rapporti, intanto facendo un patto tra generazioni – risponde Ippolito – i giovani risolvono più facilmente questa malattia e senza effetti gravi, mentre gli anziani hanno un rischio particolarmente elevato di morire di questo virus. Proteggere gli anziani non significa che loro non dovranno più avere rapporti o non potranno più abbracciare i propri nipoti, ma significa solo mantenere le distanze di sicurezza e indossare le mascherine che, anche se non hanno un’efficacia dimostrata al 100%, in ogni caso riducono l’eliminazione delle droplets (‘goccioline’, ndr) che portano il virus. La nostra vita deve cambiare in funzione di quanto riusciamo a controllare questo virus: più saremo capaci di farlo, mettendo in atto le misure di distanziamento sociale e gestendo al meglio le situazioni, più avremo benefici. Non dobbiamo pensare ‘tana liberi tutti’, né tantomeno avere posizioni demagogiche e antiscientifiche. La scienza non ha certezze, chiunque dice ‘è così perché l’ho detto io’ o perché ‘lo ha dimostrato questo studio’ rischia di essere smentito domani. Bisogna avere il beneficio del dubbio e l’umiltà di dire ‘stiamo tentando una soluzione in un momento difficile’”.
Sempre dal 4 maggio ci sarà anche la riapertura dei parchi, ma con ingressi contingentati nelle aree riservati ai bambini, e ripresa degli allenamenti, ma solo individuali, all’aria aperta. Restano insomma vietati gli assembramenti per evitare il rischio, che per alcuni è una certezza, che il contagio torni a diffondersi. Secondo quando si potrà tornare alla normalità, solo quando ci sarà il vaccino?
“Non sono sicuro che il vaccino sia pronto a breve come molti pensano – dice il direttore scientifico dello Spallanzani – Credo sia necessario definire che cos’è una nuova normalità e soprattutto capire come va l’epidemia. E man mano che questa epidemia va avanti, noi dovremo adeguare la nostra vita. Difficilmente potremo invitare a casa nostra 40 persone per una festa, stando tutti in piedi, e difficilmente riusciremo a dire ‘non è nulla, ha solo un po’ di febbre’ oppure ‘ha solo un po’ di raffreddore’. Ognuno di noi dovrà essere in grado di monitorare le persone con le quali è in contatto e anche se stesso, anche se ci viene il sintomo più banale”.
Diventa obbligatorio indossare la mascherina negli uffici, nelle fabbriche, dentro i negozi, sui mezzi di trasporto. Pensiamo però all’estate, quando inizieranno ad essere accesi i condizionatori. Avrà sicuramente letto lo studio condotto da alcuni ricercatori cinesi, secondo cui a gennaio in un ristorante un commensale asintomatico avrebbe trasmesso il virus ad altri clienti, proprio attraverso il forte getto di aria. Allora, serviranno interventi speciali di manutenzione e igienizzazione, per esempio negli impianti sugli aerei o sui treni?
“Negli ultimi 30 anni ci siamo abituati a una vita innaturale, abbiamo violentato la natura, abbiamo deciso che il caldo era terribile e che quindi dovevamo usare i condizionatori – risponde Ippolito – Abbiamo sostituito anche i nostri vecchi e cari termosifoni con impianti di condizionamento che producevano aria. Abbiamo stabilito di avere palazzi blindati, spesso con pareti di vetro e a volte con alto dispendio energetico, perché erano belli e funzionali. Adesso tutto questo sistema viene improvvisamente messo in discussione. Quale sarà il rischio dei condizionatori lo dimostreremo, ma dobbiamo pensare anche di riaprire le finestre, di far circolare tanta aria nelle nostre case e di evitare di pensare di rimanere al chiuso ma con i condizionatori accesi. Cosa succederà non lo so, non lo sa nessuno. Una persona esposta ad un condizionatore potrebbe prendere una ‘botta di freddo’, come si dice in gergo, potrebbe iniziare a starnutire, ma noi non sappiamo perché lo sta facendo. In un momento come questo, andrebbe considerata la possibilità di accendere per poche ore la sera i riscaldamenti, quando fa ancora freddo, per evitare che le persone abbiano senso di freddo e starnutiscano. Perché ogni starnuto può essere indicatore di qualcosa che sta succedendo. Nel momento in cui allarghiamo i sintomi di questa malattia perché le conoscenze aumentano (e proprio ieri, per esempio, i Centers for disease control hanno proposto un nuovo modello di considerare i sintomi), dobbiamo fare di tutto per stare attenti agli sbalzi di temperatura. Dal momento che il gasolio e l’energia costano così poco, si potrebbe anche pensare di autorizzare per qualche ora l’accensione dei riscaldamenti nelle case, soprattutto nelle zone più fredde. Questa è una considerazione personale, ma penso agli anziani, ai bambini e a tutti coloro che potrebbero aver freddo. Dobbiamo scrivere un nuovo codice di rapporto tra noi e gli altri”.
Aumentano intanto i pazienti che non necessitano di essere ricoverati in ospedale. Ma l’attenuazione dell’aggressività del virus è solo presunta, lo conferma?
“Non abbiamo prove che il virus si sia attenuato, ma abbiamo imparato a gestire meglio questi pazienti – dice Ippolito – per i quali, ricordiamolo, non c’è un trattamento efficace. Continuiamo a dire o a leggere sui giornali che c’è il ‘farmaco del miracolo’, ma non c’è assolutamente un solo farmaco che si è dimostrato efficace nella gestione di questa malattia. È ancora presto per decidere che cosa dobbiamo fare e come lo dobbiamo fare, c’è bisogno di molta attenzione. Noi dobbiamo controllare i sintomi, ma abbiamo anche verosimilmente avuto un grande accesso alle terapie intensive. Il prof. Gattinoni, che è uno dei padri della rianimazione in Italia, ha sottolineato come bisogna valutare attentamente l’opportunità di attaccare le persone ai respiratori. Se non lo si fa in maniera appropriata, rischiamo di fare più danni che benefici. È anche un fatto etico: noi abbiamo la cultura di dire tutto a tutti, talvolta senza pensare quanto queste operazioni potrebbero anche essere non secondarie per il destino delle persone”.
Un’ultima domanda: in un’intervista lei ha dichiarato che “bisogna avere anche il coraggio di non sapere”. Secondo lei è anche per questo che, stando a un recente sondaggio, lei è il più credibile degli scienziati?
“Ringrazio questo sondaggio. Ognuno di noi dovrebbe essere valutato per quello che fa e per quello che ha fatto. Chi si occupa di scienza dovrebbe essere valutato per i programmi nazionali e internazionali che ha gestito e per il numero di pubblicazioni che ha prodotto. Probabilmente bisognerebbe smettere di parlare troppo ai media, dando spesso informazioni contrastanti. Ognuno di noi ha un sano o insano desiderio di protagonismo – conclude infine Ippolito – ma nei momenti di emergenza il protagonismo è assolutamente pericoloso”.