Milano, 23 luglio 2020 – Boschi e ampie vallate, oltre che molto amate, sono visti da molti come luoghi nei quali poter coniugare vacanze, relax e distanziamento fisico all’epoca del Covid. Grazie al prof. Gianfranco Parati, Docente di Cardiologia all’Università di Milano-Bicocca, Direttore scientifico e Direttore della Cardiologia di Auxologico, nonché esperto internazionale di Medicina di Montagna, vogliamo approfondire alcuni aspetti sollecitati attraverso le vostre domande.
Ovvero, se una persona che abbia contratto il Covid possa andare in montagna una volta guarita e quali precauzioni debba prendere. Non tutti sanno, infatti, che sopra una certa altitudine, è importante un po’ di prudenza.
Prof. Parati, per capire se e cosa deve fare chi è guarito dal covid-19, vorremmo chiederle: cosa accade al nostro organismo quando si va in montagna?
Con l’aumento dell’altitudine (si parla di alta quota sopra i 2.500 metri, la montagna può cominciare a dare qualche effetto già dai 1.300 metri circa in su), si riduce la pressione barometrica e quindi diminuisce la pressione parziale di ossigeno nell’aria (cioè la spinta per l’ossigeno a entrare nel sangue è minore). Si riducono inoltre l’umidità e la temperatura: fa infatti più fresco, nonostante si abbia una maggiore irradiazione ultravioletta.
Se non si ha una condizione fisica ottimale o quando si è un po’ avanti con gli anni, si potranno notare, per i primi giorni, cambiamenti importanti come il non riuscire a dormire bene la notte, avere la pressione più alta, qualche aritmia, il battito accelerato, il fiato più corto e pesante. In alcuni casi si manifesta anche cefalea. Più si sale e più questi sintomi si possono manifestare e divenire più importanti.
Andare a 1.500 metri è molto diverso, in termini di capacità di adattamento del nostro fisico, rispetto a 3.000 metri. L’organismo normalmente si adatta a funzionare nel nuovo ambiente che – a causa dell’altitudine – presenta meno pressione di ossigeno, dopo circa 2 o 3 giorni.
Ovviamente per le persone anziane o per chi presenta problemi come cardiopatie o patologie respiratorie pre-esistenti, è necessaria una maggior cautela. Questo è il caso anche di chi è stato infettato dal Coronavirus, soprattutto se ha sviluppato una malattia polmonare, il Covid-19.
Prof. Parati, lei ha studiato le condizioni di salute di persone ad altitudini sopra i 5.000 metri o addirittura sull’Everest. ha osservato, tra i tanti progetti di studio, anche situazioni estreme come quelle dei minatori cileni con ipossia intermittente cronica. Ora il coronavirus. Chi meglio di lei può dire se chi ha avuto il Covid può andare in montagna…
Gli studi sugli effetti dell’esposizione a notevoli altitudini sia di soggetti normali, sia di pazienti ipertesi e di pazienti con problemi cardiorespiratori ci hanno permesso negli anni di capire molte cose sulle capacità e le modalità di adattamento di un organismo all’ipossia in quota, e su cosa sia consigliabile o al contrario da evitare per favorire un adattamento.
Ad esempio oggi sappiamo che se una persona è avanti negli anni ed è ipertesa, oltre una certa altezza potrà essere necessario qualche giorno di adattamento. L’adattamento potrà essere più facile se questa persona avrà fatto precedere al viaggio una visita di controllo, durante la quale il medico avrà verificato la stabilità delle condizioni cliniche, il controllo dei fattori di rischio e di eventuali patologie attive, l’adeguatezza della terapia in corso.
È anche importante ricevere dal proprio medico, o da un esperto di medicina di montagna nel caso il medico di famiglia non avesse sufficienti conoscenze al riguardo, consigli personalizzati su come affrontare eventuali disturbi o su come modificare delle terapie in corso, ove necessario.
Il Covid ha però completamente sparigliato le carte anche in questo campo. Non sappiamo ancora quali eredità purtroppo abbia lasciato in chi è guarito, e quanto queste conseguenze possano condizionare anche l’adattamento alla montagna e la performance nelle attività in quota.
Come Auxologico abbiamo iniziato ad effettuare delle visite di follow-up per i pazienti ricoverati durante la pandemia presso di noi, i quali avranno, gratuitamente grazie anche a recenti disposizioni della ATS e a nostri fondi di ricerca, un check-up mirato che ci permetterà di vedere lo stato di polmoni, cuore, circolazione e la residua eventuale alterata modulazione dei loro processi immunocoagulatori e metabolici.
Può essere infatti che in chi ha avuto ad esempio una polmonite virale importante, residui una fibrosi polmonare. C’è da capire poi se vi siano ancora processi infiammatori attivi e danni residui dell’apparato cardiovascolare, incluso un possibile rischio aumentato di tromboembolie.
Cosa può succedere se chi ha avuto il Covid va in vacanza in montagna?
La montagna non è controindicata di default, anzi fare un po’ di attività fisica all’aria aperta e pulita in mezzo al verde o tra le rocce e la neve, previa adeguata preparazione, solitamente fa bene sia al corpo sia alla mente. Occorre tuttavia personalizzare le indicazioni, e valutare caso per caso se vi siano delle misure preventive da prendere o magari altitudini da non superare.
In particolare, quando si considerino soggetti che hanno contratto il Covid-19, non è possibile generalizzare con raccomandazioni uguali per tutti, ma bisogna valutare le condizioni di ogni singola persona, caso per caso.
Teoricamente chi ha avuto forme molto lievi, al punto quasi da non accorgersene, non dovrebbe avere alcun problema, ma un controllo preventivo sarebbe sempre opportuno, vista la natura subdola di questa malattia.
Chi ha avuto conseguenze più gravi non deve assolutamente sottovalutare l’importanza di farsi visitare prima di partire. Bisogna sapere se i polmoni o l’apparato cardiocircolatorio sono stati danneggiati, e se ci sono problemi residui importanti.
In cosa possono consistere i controlli?
Ogni soggetto va valutato individualmente, ma alcune valutazioni possono essere utili nella maggior parte dei casi. In particolare, in caso di pregressa polmonite, sarebbe consigliabile una visita internistica o cardiologica con elettrocardiogramma, una radiografia se non meglio ancora una TAC al torace, una prova da sforzo con misura della saturazione di ossigeno, una ecografia al torace, un esame del sangue che esplori parametri ematologici, renali, infiammatori e immunologici. In caso di evidenza di danno cardiaco nella fase acuta è consigliabile una risonanza magnetica al cuore.
Al medico il compito di porre le giuste indicazioni agli esami necessari dopo un attento esame della storia e delle condizioni cliniche del paziente.