Prof. Piero Barbanti, Università Telematica San Raffaele di Roma: “La seduzione esercitata sul sistema nervoso da un sistema che procede per immagini più che per concetti riduce la nostra capacità immaginativa e creativa”
Roma, 9 gennaio 2020 – Era il 9 gennaio 2007 quando davanti alla gremita platea della MacWorld Conference a San Francisco Steve Jobs presentava al mondo la sua ancora imperfetta ‘creatura’, che avrebbe reinventato e rivoluzionato il concetto di telefono. E non solo.
In realtà la rivoluzione iPhone, oggi a distanza di 13 anni lo possiamo dire, ha completamente trasformato il nostro modo di comunicare, di interagire, di vivere. Sdoganando l’uso e l’abuso di internet in ogni dove come mai forse neanche Jobs poteva immaginare.
Secondo una recente ricerca dell’università Statale di Milano e della Swansea University (Gb), pubblicata sul “Journal of Computer Assisted Learning”, l’abuso di Internet riduce le capacità di apprendimento degli studenti universitari: a causa della tecnodipendenza gli studenti risultano infatti meno motivati e più ansiosi, con un effetto aggravato dal senso di solitudine prodotto dall’isolamento in una ‘bolla digitale’.
“La rete – spiega Piero Barbanti, docente di Neurologia e Sport all’Università Telematica San Raffaele Roma – sta diventando un fine e non più uno strumento. Lo studio documenta infatti come gli studenti trascorrano più tempo sui social che alla ricerca di notizie e informazioni. Ciò è dovuto alla seduzione esercitata sul sistema nervoso da un sistema che procede per immagini più che per concetti. Nei social pullulano video e foto in continua evoluzione che appagano la nostra parte più istintiva ma paradossalmente, fornendo immagini a ripetizione, riducono la nostra capacità immaginativa e creativa, quella capacità che da piccoli ci fa stare ipnotizzati di fronte al racconto di una favola che genera in noi sogni immaginifici”.
Al lavoro hanno partecipato 285 studenti di corsi di laurea di ambito sanitario, valutati sotto diversi aspetti: uso delle tecnologie digitali, capacità di apprendimento, motivazione, ansia e solitudine. Il 25% del campione – un giovane su 4 – ha dichiarato di trascorrere online più di 4 ore al giorno, mentre la quota restante da un’ora al giorno a 3. La dipendenza dal web sarebbe inoltre associata a “un senso di solitudine che renderebbe ancora più difficile”.
“È un rischio concreto quello di acutizzare la solitudine: le amicizie, le rotture, i like, le critiche si alternano in maniera cangiante, frutto di impulso più che di ragionamento. In estrema sintesi, la tecnodipendenza penalizza il cervello razionale – lento per definizione perché il giudizio critico richiede la metabolizzazione dei fatti – favorendo invece la porzione istintiva del nostro sistema nervoso, più veloce ma meno evoluta dal punto di vista filogenetico. Ovvio che non possiamo condannare o stigmatizzare l’uso di Internet, ma ricordare, parafrasando Shakespeare, che la tecnologia non è buona o cattiva, ma è il suo uso o abuso che la rende tale”.
In fondo lo ripeteva spesso anche Jobs che “la risorsa più preziosa che abbiamo è il tempo”, e non certamente quello virtuale.