La ricerca di UniTo, Stanford e INFN che può risolvere uno dei più grandi enigmi dell’universo
Torino, 20 gennaio 2020 – Un gruppo di ricercatori, guidato da S. Ammazzalorso, S. Camera, M. Regis e N. Fornengo del Dipartimento di Fisica dell’Università di Torino e della Sezione di Torino dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e da D. Gruen del Kavli Institute for Particle Astrophysics and Cosmology della Stanford University, ha compiuto un passo in avanti nel comprendere l’origine di un debole bagliore di raggi gamma che permea il cosmo.
I ricercatori hanno scoperto che esiste una correlazione tra la luminosità di questa radiazione, estremamente energetica, e le regioni dell’Universo che contengono molta materia oscura viste attraverso il fenomeno cosiddetto di lente gravitazionale.
Questa correlazione, predetta teoricamente nel 2013 dallo stesso gruppo di ricerca del Dipartimento di Fisica di UniTo, è stata ora osservata per la prima volta. Il risultato potrà aiutare i ricercatori a comprendere le proprietà degli oggetti astrofisici in grado di emettere questa radiazione e portare nuova luce alla spiegazione del mistero della materia oscura dell’Universo.
Il bagliore, noto come radiazione di fondo di raggi gamma non risolto, proviene da sorgenti così deboli e lontane che i ricercatori non possono identificarle individualmente. Tuttavia, l’ipotesi avanzata nel 2013 e ora confermata con i dati nel frattempo diventati disponibili, è che le regioni di Universo in cui hanno origine questi raggi gamma debbano coincidere con quelle in cui si trova la massa nell’Universo distante, e il modo in cui fluttuazioni nella luminosità della radiazione gamma sono correlate alle fluttuazioni della materia oscura debba contenere la chiave per comprenderne l’origine.
La materia oscura stessa potrebbe emettere un debole bagliore gamma: da qui l’interesse per studiare questa correlazione, in quanto potenzialmente in grado di identificare la natura di questa elusiva componente dell’Universo, della quale al momento si sa solo che esiste ma non da cosa sia composta.
Lo studio, pubblicato su Physical Review Letters, ha utilizzato un anno di dati del Dark Energy Survey (DES), che acquisisce immagini ottiche del cielo ed è in grado di realizzare una mappa della materia oscura sfruttando le minuscole distorsioni delle immagini delle galassie lontane dovute dalla presenza della materia oscura – un effetto noto come lente gravitazionale – e nove anni di dati dal telescopio spaziale Fermi Large Area Telescope, che osserva i raggi gamma cosmici mentre orbita attorno alla Terra e a cui partecipano l’INFN, l’INAF e l’ASI in collaborazione con la NASA.
“Il segnale che abbiamo osservato ha in larga parte le caratteristiche attese nel caso in cui la radiazione gamma sia emessa da sorgenti astrofisiche note come blazar – galassie attive con un buco nero supermassiccio al loro centro”, ha spiegato il prof. Nicolao Fornengo del Dipartimento di Fisica dell’Università di Torino. “Mentre il buco nero inghiottisce la materia che lo circonda, viene emesso un getto di radiazione gamma che, se diretto verso di noi, viene intercettato dal satellite Fermi. La cosa interessante però è che la correlazione misurata non corrisponde completamente alle aspettative teoriche nel caso sia causata solo dai blazars ” .
“Questo lascia spazio alla possibilità che una parte del segnale sia originato proprio dalla materia oscura stessa e ne ha appunto le giuste caratteristiche. Il risultato potrebbe quindi fornire una soluzione al problema della materia oscura, dimostrando che essa è formata da un nuovo tipo di particelle, capaci di produrre radiazione attraverso un processo chiamato annichilazione, fornendo anche indicazioni sulla sua massa e sulle sue interazioni”, conclude Fornengo.
Per approfondire l’impatto di questo studio sulla comprensione della natura materia oscura, i ricercatori sono in procinto di analizzare i nuovi dati che nel frattempo si sono resi disponibili dalle campagne osservative di DES e Fermi.
Figura 1 – La radiazione di fondo cosmico di raggi gamma non risolto (in giallo), assieme alle regioni cosmiche che contengono molta materia oscura (in rosso). La mappa dei raggi gamma è stata creata con nove anni di dati dal satellite Fermi-LAT e la mappa che mostra la densità della materia si basa su un anno di dati del Dark Energy Survey (DES). (Credits: Daniel Gruen / SLAC / Stanford, Chihway Chang / Università di Chicago, Alex Drlica-Wagner / Fermilab, Simone Ammazzalorso / Università di Torino / INFN Torino)