Una cura che va oltre la guarigione

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Nicoletta Cocco

“Di fronte alla porta d’ingresso di molte Terapie Intensive si leggono ancora oggi cartelli che indicano il rischio d’infezione come motivazione della limitazione all’accesso di familiari e amici dei malati degenti e della necessità di una accurata “vestizione” comprendente camice, sovra scarpe, mascherina e cappellino. Questa motivazione, non sostenuta da nessun lavoro scientifico, parte dall’idea che il visitatore sia una sorta di “impollinatore” che porta in Terapia Intensiva i suoi batteri e lì dentro li sparge a “destra e a manca” sui malati degenti, provocando infezioni”.

È quanto scrive il dott. Paolo Malacarne – Anestesia e Rianimazione ospedale Cisanello Pisa, nel suo articolo Terapia intensiva aperta. Basterebbe avere le mani pulite.

Io ci sono stata davanti alla porta di una Terapia Intensiva, quella dell’Ospedale “Rummo” di Benevento, dietro quella porta, purtroppo, c’era mio cugino, vittima di un incidente stradale.
Da quella stessa porta ho visto entrare e uscire i pazienti ricoverati in quel reparto, accompagnati da personale infermieristico per i consueti esami di laboratorio o per entrare in sala operatoria.

Ho visto quelle barelle con i pazienti attraversare la sala d’attesa dove stazionavano decine e decine di visitatori. Ho visto i pazienti trasportati negli stessi ascensori che usavamo noi. Più di una volta gli stessi infermieri chiedevano a noi visitatori di aiutarli a bloccare le porte dell’ascensore affinché potessero entrare con la loro barella, con il loro paziente di turno.
Quello stesso ascensore, sporco e maleodorante, veniva utilizzato anche per il trasporto di quegli sfortunati pazienti che da quel reparto uscivano con il lenzuolo sul volto, come poi è accaduto per mio cugino.

Personalmente riconosco la grande professionalità del personale medico-infermieristico che ha avuto cura di mio cugino, gestendo al meglio il suo ricovero in Terapia Intensiva.
Ma, nonostante quella Terapia Intensiva fosse “blindata”, e fossero utilizzate tutte le accortezze del caso durante la visita dei parenti stretti, mio cugino ha contratto numerose infezioni. Come è possibile? Chi ha portato quei batteri in Terapia Intensiva? I visitatori?

“Per smentire questa “bufala”, è sufficiente studiare, tramite l’esecuzione di un tampone fatto sulla pelle delle mani e nelle narici (sedi abituali di batteri in tutti noi) quali sono i batteri presenti nei visitatori prima del loro ingresso in Terapia Intensiva e confrontarli con quelli che determinano infezioni nosocomiali nei malati degenti: chi ha fatto questo studio ha documentato che si tratta di batteri completamente diversi e in nessun caso i batteri che hanno determinato infezioni nei malati erano presenti sui visitatori al momento del loro ingresso in Terapia Intensiva”, chiarisce Malacarne.

Il dott. Sergio Livigni – Anestesia e Rianimazione ospedale San Giovanni Bosco di Torino – nel suo articolo Terapia intensiva aperta: il gioco vale la candela? I risultati di un’esperienza pluriennale, scrive così: “Numerosi dati della letteratura scientifica suggeriscono che la liberalizzazione dell’accesso alla TI per familiari e visitatori non solo non è in alcun modo pericolosa per i pazienti, ma è anzi benefica sia per loro sia per le famiglie. In particolare l’“apertura” della TI non causa un aumento delle infezioni nei pazienti, mentre si riducono in modo significativo le complicanze cardio-vascolari e gli indici ormonali di stress”.

Inoltre, come scrive il dott. Luigi Riccioni – Centro di Rianimazione 1, Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini di Roma nel suo articolo Terapia intensiva aperta. Un antidoto contro il trauma psicologico da ricovero?, “La presenza di un familiare potrebbe avere non solo la funzione di limitare l’angoscia del paziente in virtù dell’indubbio supporto psicologico, ma probabilmente consentirebbe anche di facilitare la “fissazione” dei ricordi reali. I racconti dei visitatori, infatti, potrebbero assumere la preziosa funzione di mantenere aggiornato il paziente sulle vicende familiari, lavorative e perfino sui fatti di cronaca, evitando il rischio del disorientamento temporale”.

Personalmente sono favorevole alle Terapie Intensive aperte, che, opportunamente gestite, oltre a non costituire una ulteriore possibilità di trasmissione di infezioni, potrebbero realmente contribuire alla ripresa del paziente.
L’isolamento e le lunghe ore di sonno indotto dai farmaci compromettono inevitabilmente la psiche del paziente.

“La sedazione e l’analgesia sono necessarie, ma le dosi devono essere continuamente riviste verso il basso – scrive il prof. Giovanni Mistraletti, Terapia intensiva Università degli Studi di Milano, AO San Paolo, nel suo articolo Terapia intensiva aperta. Sedare i nostri pazienti o non sedarli? Se sì, come? – l’obiettivo non è di tenere i pazienti in coma farmacologico, bensì di mantenerli svegli e tranquilli il prima possibile!”.

Nicoletta Cocco

Direttore responsabile insalutenews.it

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