La società scientifica ha stilato un documento con l’ISS per stabilire i requisiti minimi di un laboratorio digitale. I tempi del referto possono essere significativamente ridotti. La Presidente Anna Sapino: “I file sono copie fedeli dei preparati istologici. Tutti i centri siano collegati su una piattaforma validata”. Lo sviluppo dei PDTA e il coinvolgimento dei pazienti
Roma, 22 novembre 2021 – L’anatomia patologica 4.0 è digitale. Il vetrino, cioè il tessuto tradizionalmente analizzato al microscopio, diventa un file virtuale e può essere analizzato in tempo reale attraverso una piattaforma che colleghi in rete tutti i laboratori del nostro Paese. Molto importante l’impatto per i pazienti, soprattutto per quelli colpiti da tumori, che non devono più percorrere centinaia di chilometri per portare il vetrino nei diversi centri per ulteriori pareri. Inoltre la digital pathology può garantire, se necessario, che il vetrino sia analizzato da esperti in ogni parte del mondo. SIAPeC-IAP (Società Italiana di Anatomia Patologica e Citopatologia Diagnostica) sta guidando questa rivoluzione ed ha stilato un documento con l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) per stabilire i requisiti minimi di un laboratorio digitale di anatomia patologica.
Il testo sarà presentato da Francesco Gabbrielli (Direttore del Centro Nazionale per la Telemedicina e le Nuove Tecnologie Assistenziali dell’ISS) al Congresso SIAPeC-IAP, che si svolge in forma virtuale dal 23 al 27 novembre. Al Congresso un ruolo di primo piano è riservato anche ai progetti della società scientifica per l’implementazione dei percorsi diagnostico terapeutici assistenziali (PDTA) in molte patologie, coinvolgendo i pazienti per condividere una progettualità e far comprendere loro l’importanza dell’atto della diagnosi anatomo-patologica nella definizione del percorso di cura.
“L’anatomo-patologo esamina al microscopio qualsiasi tessuto ‘malato’, sia esso ottenuto da un intervento chirurgico, da una biopsia o da un agoaspirato – afferma Anna Sapino, Presidente SIAPeC-IAP – Ci viene chiesto di definire la natura delle lesioni, esprimendo una diagnosi importante per il percorso del paziente. È, quindi, un lavoro che richiede alta professionalità, la possibilità di confronto e l’utilizzo di nuove tecnologie, perché non sempre è tutto ‘bianco’ o ‘nero’, e in questi casi dobbiamo avere un supporto per limitare al massimo il dubbio diagnostico. La nostra società scientifica vuole governare la terza rivoluzione che sta interessando la nostra professione e che può garantire diagnosi più precise e veloci. Il primo grande cambiamento è stato negli anni ‘80 con l’immunoistochimica, cioè con i marcatori che venivano visualizzati al microscopio. Il secondo ha avuto luogo negli anni ‘90, con l’introduzione della biologia molecolare, l’analisi e sequenziamento del DNA. Oggi dobbiamo essere preparati alle innovazioni digitali. Le immagini digitali rappresentano vere e proprie copie fedeli del preparato cito-istologico, visibile su uno schermo anziché al microscopio convenzionale. Questa innovazione ha dato vita alla digital pathology, che spazia dalla telepatologia (trasmissione delle immagini a distanza), al miglioramento dei sistemi di gestione e archiviazione del materiale diagnostico nei laboratori (work-flow) per arrivare alla ‘patomica’, ossia all’analisi informatica dei preparati per utilizzare il maggior numero di dati, anche non visibili all’occhio umano, con i sistemi di intelligenza artificiale”.
Risalgono al 2015 le prime linee guida sulla tracciabilità dell’anatomia patologica, stilate dal Consiglio Superiore di Sanità con la SIAPeC-IAP. “Quei principi purtroppo sono rimasti sulla carta perché l’acquisizione e conversione dei sistemi di tracciabilità, pre-requisito di un percorso digitale, non sono state accolte da tutte le anatomie patologiche del nostro Paese – afferma Filippo Fraggetta, Presidente eletto SIAPeC-IAP – Ora i tempi sono maturi, infatti la pandemia da Covid-19 sta favorendo l’implementazione della patologia digitale e le condivisioni virtuali. L’introduzione di scanner capaci di trasformare il vetrino ‘fisico’ in file consultabili da computer ha posto le basi per la diffusione della telepatologia”.
“Il sistema più avanzato al mondo si trova in Giappone, che prevede la centralizzazione dei referti di tutti i pazienti – continua Filippo Fraggetta, che è anche responsabile del Comitato scientifico della Società Europea di Patologia Digitale e Integrata (European Society of Digital and Integrative Pathology, ESDIP) – In Europa è virtuoso l’esempio dell’Olanda. In Italia vi sono alcune esperienze di laboratori di anatomia patologica completamente digitalizzati dalla ricezione del campione di tessuto alla diagnosi finale, in Sicilia e in Piemonte”.
“Il tema ‘digitalizzazione e innovazione’ rappresenta uno degli assi strategici attorno ai quali si sviluppa il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza conseguente alla pandemia – sottolinea la Presidente Sapino – È l’occasione per realizzare gli adeguamenti infrastrutturali necessari a compiere un ‘salto’ qualitativo anche nelle anatomie patologiche del nostro Paese, che vanno digitalizzate e collegate in Rete su una piattaforma validata. La SIAPeC vuole essere proattiva con gli organi istituzionali, le altre società scientifiche e le associazioni dei pazienti per rendere effettiva la Rete Nazionale di Telepatologia”.
Nell’ultimo anno e mezzo segnato dalla pandemia, l’implementazione di questi strumenti ha ampiamente dimostrato la capacità di garantire la continuità diagnostica e assistenziale, spingendo importanti agenzie regolatorie, come quella statunitense (Food and Drug Administration), a proporre task force per la promozione e intensificazione della digital pathology.
“L’investimento iniziale può determinare risparmi di milioni di euro in pochi anni – spiega il dott. Fraggetta – Non solo. I vantaggi per i pazienti sono davvero consistenti. Se desiderano una consulenza, non devono più viaggiare per portare il vetrino in diverse strutture, con il rischio che sia perso o si rompa. La Rete digitale annulla le distanze fra centro e periferia. E i tempi per la refertazione possono essere razionalizzati, anche con ricadute positive in termini di minore stress per i pazienti in attesa dell’esito. La possibilità di condividere i vetrini digitali con esperti in tempo reale, con la massima sicurezza e affidabilità, anche a distanza, rappresenta un’arma aggiuntiva per garantire il miglior standard di diagnosi e cura. Le anatomie patologiche, che passano al digitale, potranno lavorare in modo più lineare e semplificato, eliminando azioni di controllo manuale ripetitive. La versatilità della digital pathology va dall’interpretazione a distanza per la diagnosi primaria alla richiesta di seconde opinioni, all’uso accademico per la formazione fino alla valutazione dei preparati virtuali da parte dei gruppi multidisciplinari”.
L’introduzione delle nuove armi anti-cancro ha posto in primo piano il ruolo dell’anatomia patologica, oltre che nel processo diagnostico anche nella valutazione prognostica e predittiva, come testimoniato nell’ambito delle terapie a bersaglio molecolare e dell’immunoterapia. Proprio in questo campo, il continuo confronto da remoto tra patologi ha permesso di standardizzare l’interpretazione dei biomarcatori necessari per valutare il beneficio dei farmaci immuno-oncologici.
“Dall’altro lato le nuove terapie antitumorali che rientrano nell’oncologia di precisione richiedono maggiori carichi di lavoro – afferma la Presidente Sapino – E la nostra professione sta vivendo una forte crisi di personale, oggi in Italia gli anatomo-patologi sono circa 1100, 5 anni fa erano almeno 1500. La digital pathology può certamente aiutarci a condividere il lavoro tra i diversi centri sul territorio, ma non è sufficiente. I professionisti devono esserci, perché i numeri degli esami, soprattutto per il cancro, sono sempre crescenti e richiedono competenze specifiche. Ancora c’è bisogno dei nostri occhi e della nostra testa che traduce in diagnosi un’immagine, non importa se vista ad un microscopio o su uno schermo”.
“L’anatomo-patologo è coinvolto in numerosi momenti della gestione del paziente che è governata dai PDTA, dalla fase prediagnostica costituita dagli screening anticancro a quella diagnostica fino al follow up – evidenzia Emanuela Bonoldi, Segretario nazionale SIAPeC-IAP – Contribuiamo allo sviluppo dei PDTA attraverso numerose tappe, le più critiche sono quelle dell’acquisizione e della gestione del campione (citologico, bioptico e chirurgico), con modalità che ne assicurino l’utilizzo ottimale e l’eventuale preservazione per indagini successive, e della produzione del referto personalizzato, con tutti gli elementi indispensabili al clinico per definire la migliore strategia terapeutica. SIAPeC-IAP partecipa infatti alla stesura di linee guida e raccomandazioni per la standardizzazione dei referti a livello nazionale e internazionale, essendo nel board dell’International Collaboration on Cancer Reporting, organizzazione che stila le linee guida comuni nel mondo per il referto anatomo-patologico sul cancro. E la società scientifica sviluppa e aderisce a reti di patologia per assicurare l’appropriatezza diagnostica in tempi utili e qualità standardizzata per quei casi per i quali sono necessarie competenze ultraspecialistiche non assicurabili in tutte le strutture”.
“Stiamo inoltre perseguendo una forte integrazione con le Associazioni dei pazienti per poter cogliere meglio i loro bisogni – conclude la dott.ssa Bonoldi – Vogliamo far capire loro il nostro ruolo nei processi di diagnosi e cura. L’obiettivo finale è che, indipendentemente dal domicilio, il paziente abbia sempre accesso al miglior percorso di assistenza. In questo senso diventa decisivo l’utilizzo di sistemi di condivisione di immagini virtuali per seconde opinioni, che evitano al paziente di farsi carico della movimentazione dei vetrini”.