Roma, 16 giugno 2020 – Anche nel caso dei tumori della vescica, dal Congresso degli oncologi americani arrivano buone notizie. Avelumab, un immunoterapico, somministrato dopo la chemioterapia, estende la sopravvivenza dei pazienti con tumore uroteliale (vescica, uretere, pelvi renale) in fase avanzata.
Lo studio JAVELIN Bladder 100 ha arruolato 700 pazienti con tumore uroteliale, che avevano mostrato una risposta o una stabilità al trattamento con chemioterapia. La metà di loro è stata randomizzata a ricevere, dopo la chemioterapia, avelumab e terapia di supporto; l’altra metà alla sola terapia di supporto.
L’impiego di avelumab come terapia di mantenimento, subito dopo la chemioterapia, ha esteso la sopravvivenza di questi pazienti di 7,1 mesi (la sopravvivenza è stata di 21,4 mesi nei soggetti trattati con l’immunoterapia, contro 14,3 mesi del gruppo di controllo). Si tratta del più consistente beneficio sulla sopravvivenza mai osservato in questa popolazione di pazienti (che presentava un tumore uroteliale localmente avanzato non operabile o metastatico), con una terapia di mantenimento. Il tumore della vescica è al quinto posto tra i tumori più frequenti in Italia; lo scorso anno ne sono stati diagnosticati 29.700 nuovi casi.
“I tumori uroteliali – afferma il dott. Roberto Iacovelli, Dirigente medico UOC Oncologia Medica, Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS, diretta dal professor Giampaolo Tortora – pur non essendo molto frequenti, hanno un impatto notevole sui pazienti, che spesso vanno incontro ad interventi chirurgici invalidanti (asportazione completa della vescica o dell’organo interessato dal tumore, come rene e uretere)”.
“Il 15% dei pazienti viene diagnosticato già in fase metastatica, mentre un altro 20% di pazienti con diagnosi iniziale di malattia in fase precoce, evolve più tardivamente verso una malattia metastatica. Fino a qualche anno fa, le possibilità di cura per questi pazienti erano veramente scarse; avevamo a disposizione solo due linee di chemioterapia efficaci. La storia è cambiata da qualche anno con l’arrivo della prima immunoterapia (il pembrolizumab), che ha mostrato un vantaggio in termini di sopravvivenza, rispetto alla chemioterapia tradizionale ma il cui utilizzo è ad oggi limitato alla seconda linea di trattamento. La novità dello studio Javelin è che in questi pazienti l’immunoterapia viene anticipata, come terapia di mantenimento, subito dopo aver ricevuto una prima linea di chemioterapia efficace, che ha bloccato la crescita della malattia”.
“Sappiamo che i pazienti affetti da neoplasie uroteliali non possono fare chemioterapia con cisplatino o carboplatino all’infinito e nella pratica clinica somministriamo 4-6 cicli di terapia al massimo; se la malattia ha risposto, ci si ferma e si continua a controllare il paziente. Alcuni purtroppo ricadono precocemente, altri più tardivamente e a quel punto è necessario riprendere un trattamento medico per arginare la crescita tumorale”.
“La novità introdotta dallo studio Javelin 100 è stata quella di iniziare l’immunoterapia come mantenimento, subito dopo la prima risposta alla chemioterapia, senza dover attendere il peggioramento della malattia. I risultati di questo studio sono importati da un punto di vista clinico poiché dimostrano come l’introduzione precoce dell’immunoterapia sia in grado di ritardare significativamente la progressione della malattia, migliorando la sopravvivenza di altri 7 mesi (su un’attesa di vita di 14 mesi), e assicurando anche una migliore qualità di vita, ritardando i sintomi legati al peggioramento della malattia”.
“L’Oncologia Medica della Fondazione Policlinico Gemelli – prosegue il dottor Iacovelli – grazie alla dedizione di un team dedicato al trattamento dei tumori genitourinari, all’interesse per le nuove possibilità di cura del suo direttore, prof. Giampaolo Tortora, e alla stretta collaborazione con i colleghi urologi, è attivamente impegnata nell’offrire numerose possibilità di terapie innovative per i pazienti affetti da tumori uroteliali. Queste vanno dall’uso dell’immunoterapia nei pazienti con malattia iniziale e refrattaria al BCG, a studi di combinazioni di immunoterapici e chemioterapia per i pazienti con malattia avanzata, fino allo screening genetico per individuare specifiche alterazioni del gene FGFR, che predispongono alla risposta a farmaci innovativi ora in fase avanzata di sperimentazione”.
“Infine – aggiunge il dottor Iacovelli, siamo gli ideatori e capofila dello studio nazionale ARIES, che prevede la somministrazione di avelumab (lo stesso farmaco usato nello studio Javelin 100), come prima linea di trattamento per la malattia avanzata, in quei pazienti particolarmente fragili che non potrebbero sopportare la chemioterapia con cisplatino e che presentino il marker PD-L1 in più del 5% delle cellule tumorali. Saremo inoltre il centro coordinatore nazionale per una nuova sperimentazione che si pone l’obiettivo di superare il concetto di chemioterapia, confrontando a questa, la combinazione di immunoterapia con un farmaco innovativo (enfortumab vedotin), già approvato singolarmente negli Stati Uniti per i significativi dati di efficacia riportati in recenti studi clinici”.
“C’è molto ancora molto da fare, ma la nostra esperienza ci ha insegnato come, più che il nostro contributo, sia quello dei pazienti di oggi, che accettano di partecipare a uno studio clinico, a migliorare significativamente la vita dei pazienti di domani offrendo nuove speranze di cura e di guarigione”, conclude il dott. Iacovelli.