La presidente AIOM Stefania Gori: “Sono molecole innovative che hanno aperto un ‘nuovo mondo’ non solo in termini di efficacia, ma anche di qualità di vita. I biomarcatori permettono di individuare in anticipo i pazienti che rispondono a questi trattamenti”
Milano, 4 settembre 2018 – Oggi il 54% degli uomini e il 63% delle donne colpiti dal cancro sconfiggono la malattia. In un ventennio (1990-2009) la sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi è aumentata rispettivamente del 15% e dell’8%. Un obiettivo raggiunto grazie alle campagne di prevenzione e ad armi sempre più efficaci, come le terapie mirate (dette anche target therapy), che esercitano la loro azione su uno specifico bersaglio molecolare risparmiando le cellule sane.
“Siamo di fronte a molecole innovative che hanno aperto un ‘nuovo mondo’ non solo in termini di efficacia e attività, ma anche di qualità di vita per la bassa tossicità e la facile maneggevolezza – afferma Stefania Gori, Presidente nazionale dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica AIOM e Direttore dipartimento oncologico, IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria-Negrar – Le terapie mirate oggi non sono più ‘chiuse’ nei laboratori ma disponibili per curare i pazienti, sono cioè parte della realtà clinica di ogni giorno. La loro funzione è di ‘disturbare’ la crescita e la proliferazione delle cellule tumorali, bloccando questi processi o rallentandoli. È come se i farmaci a bersaglio molecolare accendessero la luce rossa di un semaforo e le cellule malate non riuscissero più a proseguire lungo la strada della crescita. Ne consegue che il tumore e le metastasi, in alcuni casi, possono ridursi di dimensione e, in altri, anche mantenendo la stessa grandezza, rallentano o arrestano completamente la loro crescita. Le terapie mirate rappresentano uno dei più importanti strumenti dell’oncologia di precisione: la cura non è più scelta solo in base alla sede di sviluppo della neoplasia, ma anche in relazione alle sue caratteristiche biologiche”.
Questi trattamenti infatti sono efficaci in alcuni sottogruppi di tumori che presentano specifiche alterazioni molecolari. “Questi diversi segni distintivi si possono immaginare come le ‘impronte digitali’ delle cellule tumorali – spiega Gabriella Farina, Direttore Dipartimento Oncologia ASST all’Ospedale Fatebenefratelli Sacco di Milano e membro CdA di Fondazione AIOM – Queste alterazioni sono dette anche biomarcatori (marcatori biologici) e sono individuate con alcuni test che permettono di selezionare i pazienti in grado di rispondere alle terapie mirate”.
Nel 2017 nel nostro Paese sono stati stimati circa 369mila nuovi casi di cancro. “Alla scoperta di un’alterazione molecolare con ruolo predittivo deve far seguito una terapia mirata – continua Stefania Gori – Il carcinoma del polmone non a piccole cellule con mutazioni dell’EGFR o con traslocazione di ALK o di ROS1, i tumori della mammella o dello stomaco con amplificazione di HER2, il melanoma cutaneo con mutazioni di BRAF, il carcinoma del colon-retto privo di mutazioni di KRAS o di NRAS o di BRAF rappresentano alcuni esempi di sottogruppi molecolari di neoplasie, per i quali sono già oggi disponibili specifici trattamenti in grado di modificare in maniera significativa il decorso della malattia in fase avanzata o metastatica”.
“Anche se il numero di marcatori e relativi farmaci approvati finora è relativamente limitato – afferma Fabrizio Nicolis, Presidente Fondazione AIOM – è possibile prevederne un notevole incremento nei prossimi anni, perché numerose molecole in grado di agire su specifiche alterazioni genetico-molecolari sono in sperimentazione”.
“Sono disponibili target therapy anche nei tumori del rene, fegato e ovaio – continua Gabriella Farina – Ma va sottolineato che in alcuni casi (ad esempio nel rene e fegato) queste armi sono usate senza selezionare i pazienti in base a specifici marcatori”.
“Le terapie mirate – evidenzia Fabrizio Nicolis – hanno contribuito in maniera decisiva a migliorare la sopravvivenza a 5 anni in alcune delle neoplasie più frequenti, che raggiunge ad esempio l’87% nella mammella e il 65% nel colon-retto. Grazie ad armi sempre più efficaci, in molti casi i tumori stanno diventando patologie croniche con cui i pazienti possono convivere a lungo. Questo si deve tradurre in una presa in carico crescente da parte della medicina del territorio: i medici di famiglia possono offrire un supporto fondamentale agli specialisti”.
“In alcuni tipi di tumore della mammella (il 15-20% del totale) una proteina, HER2, è presente in quantità eccessiva, causando così una crescita rapida e incontrollata delle cellule malate – sottolinea Stefania Gori – Dal punto di vista biologico, è una delle forme più aggressive e, in passato, non essendoci armi disponibili, queste pazienti presentavano la prognosi peggiore. Oggi invece, grazie a terapie mirate che bloccano il recettore HER2 e che sono utilizzate sia nelle forme iniziali non metastatiche che in quelle metastatiche, è cambiato radicalmente il decorso clinico”.
Il carcinoma ovarico è meno frequente del tumore della mammella: nel 2017 in Italia sono stati stimati 5.200 nuovi casi, ma la sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi è bassa, pari al 39,5%. “Il 75-80% delle pazienti presenta, al momento della diagnosi, la malattia già in fase avanzata – continua la Presidente AIOM – Le terapie mirate hanno evidenziato risultati importanti in queste donne. Da un lato vi sono i farmaci antiangiogenici che impediscono al tumore di sviluppare i vasi sanguigni che ne permetterebbero la crescita, dall’altro sono disponibili i PARP inibitori che hanno dimostrato un significativo miglioramento della sopravvivenza libera da progressione rispetto alle terapie farmacologiche tradizionali”.
Nei pazienti con carcinoma del colon-retto metastatico, al momento di intraprendere un trattamento, dovrebbe essere effettuata la valutazione dello stato mutazionale dei geni KRAS e NRAS. “Queste proteine – afferma Gabriella Farina – funzionano come ‘interruttori’ che attivano i meccanismi di crescita e replicazione delle cellule tumorali e possono essere nello stato normale o mutato. L’introduzione nella terapia dei nuovi farmaci biologici anti-EGFR ha determinato un ulteriore significativo miglioramento dell’efficacia clinica dei trattamenti, con una sopravvivenza che può superare i 30 mesi nella fase metastatica. Lo stato normale dei geni KRAS e NRAS indica che il paziente ha maggiori probabilità di rispondere alla terapia a base di anticorpi monoclonali anti-EGFR, mentre nei casi in cui sia presente la mutazione dei due geni queste terapie non sono indicate perché non efficaci. Le persone con carcinoma del colon-retto metastatico privo di mutazioni di KRAS o di NRAS rappresentano circa il 40-45% del totale”.
La mutazione del gene EGFR è individuata nel 10-15% dei casi di tumore del polmone non a piccole cellule non squamoso (l’alterazione di ALK è presente nel 5%). Tra i tanti tipi di terapie biologiche attualmente disponibili, sono due quelle efficaci in questa neoplasia: gli inibitori della crescita tumorale e gli anticorpi monoclonali.
“Il vantaggio principale delle target therapy è l’azione selettiva che le rende potenzialmente più efficaci e meno tossiche – sottolinea la Presidente Gori – Inoltre, possono essere utilizzate con la chemioterapia e la radioterapia. Molte molecole si presentano sotto forma di compresse e sono assunte per bocca, un grande beneficio per i malati e per le loro famiglie perché permette di ridurre i disagi, i tempi di ricovero e le giornate in day-hospital”.
“Grandi vantaggi che possono essere garantiti anche da una ‘attenzione costante’ agli effetti collaterali – spiega Fabrizio Nicolis – Gli effetti collaterali devono essere conosciuti dagli oncologi e riconosciuti quanto più precocemente possibile quando si manifestano al fine di assicurarne una gestione ottimale. Anche i pazienti devono esserne informati: ecco perché Fondazione AIOM da anni sviluppa il progetto dei Quaderni informativi per i pazienti oncologici, disponibili nel sito di Fondazione AIOM”.