Milano, 5 luglio 2022 – Quando si digita il termine “radioterapia” nella barra di ricerca sul web, le prime ricerche suggerite sono “effetti collaterali” e “quanto dura”. Se andiamo ad analizzare la top 5 delle ricerche associate a questo termine con un incremento di frequenza nell’ultimo periodo, possiamo trovare frasi come “danni permanenti”, “fa cadere i capelli”,o “quante sedute si fanno” (fonte Google Trends).
Considerato il trend in aumento delle ricerche online sulla radioterapia oncologica, questi sono chiari segnali del fatto che ci siaancora molta disinformazione tra la popolazione generale, ma anche un forte bisogno di ricevere informazioni esaurienti, affidabili e verificate su uno dei pilastri fondamentali nella cura dei tumori: una terapia moderna che oggi è considerata sempre più mirata ed efficace, ben tollerata e che, grazie alle tecniche di ipofrazionamento, può essere concentrata in un numero inferiore di sedute rispetto a pochi anni fa.
Va proprio in questa direzione l’impegno di AIRO – Associazione Italiana Radioterapia e Oncologia clinica, che sta portando avanti, attraverso media e social, una serie di iniziative per migliorare l’informazione e la comunicazione sul tema della radioterapia oncologica.
Oggi a Milano gli specialisti di AIRO hanno incontrato i giornalisti nel corso di formazione professionale continua “Parole e fatti della radioterapia oncologica” promosso dal Master SGP della Sapienza Università di Roma, con l’obiettivo di fornire ai professionisti dell’informazione tutti gli elementi e gli strumenti di base per conoscere questa disciplina medica e comunicarla con chiarezza e rigore.
“La Radioterapia Oncologica è una terapia cardine per la cura del tumore. Insieme alla chirurgia è l’unica terapia primaria, cioè a valenza curativa, per i tumori solidi – spiega Cinzia Iotti, Direttore SC Radioterapia, AUSL-IRCCS di Reggio Emilia e Presidente AIRO – Si stima che la guarigione dei tumori (sia solidi che ematologici) sia dovuta nel 46,5% dei casi alla chirurgia, nel 42% alla radioterapia e nell’11,5% alla chemioterapia. Nel complesso, almeno il 60% dei pazienti con diagnosi di tumore è sottoposto nella sua vita ad un corso di terapia radiante. Ogni anno, si aggiunge al numero dei nuovi pazienti un’ulteriore quota di pazienti, pari al 10-15%, che ritornano per uno o più corsi di terapia a causa della progressione di malattia o per comparsa di un secondo tumore. È stato stimato che, per molteplici motivi, nei prossimi 5 anni il numero di pazienti che avranno bisogno di un trattamento radiante si accrescerà del 15% circa”.
La radioterapia oncologica è impiegata nella cura dei tumori a scopo curativo, con obiettivo cioè di guarigione, oppure a scopo palliativo, con obiettivo di ridurre i sintomi e di migliorare la qualità di vita del paziente.
“La radioterapia curativa rappresenta il 70-80% dei trattamenti – dichiara Marco Krengli, Direttore SCDU Radioterapia Oncologica, Azienda Ospedaliero‐Universitaria Maggiore della Carità di Novara e Presidente Eletto AIRO – Nell’ambito della radioterapia curativa si distinguono casi trattati con radioterapia combinata con la chirurgia e casi trattati con radioterapia radicale; questi ultimi possono comprendere la sola radioterapia, oppure, spesso, la combinazione di radioterapia con farmaci, principalmente a scopo radiosensibilizzante. La radioterapia moderna, grazie alla sempre maggiore capacità di individuare le lesioni tumorali da parte delle tecniche di diagnostica per immagini, alla più precisa deposizione della dose sul volume tumorale e all’ottimizzazione delle combinazioni con farmaci innovativi, ha la capacità di ottenere la guarigione in una percentuale rilevante di pazienti affetti da tumore, preservando sempre più l’anatomia e la funzione degli organi vitali, con conseguente miglioramento della qualità di vita dei pazienti trattati”.
Lo strumento principale della radioterapia oncologica è la tecnologia, i macchinari attraverso i quali viene erogata la terapia radiante: ma, proprio come la terapia farmacologica, che viene prescritta e gestita dall’oncologo medico, la radioterapia deve essere ‘dosata’ e gestita, ritagliandola sulle necessità del paziente, dal radioterapista oncologo. Con i passi avanti della tecnologia e il ruolo fondamentale degli specialisti, lo sviluppo delle tecniche innovative in radioterapia ha permesso di arrivare oggi a trattamenti più efficaci, in meno tempo, con meno effetti collaterali.
“Il prodotto finale dell’efficacia, che deriva dalla medicina basata su dati scientificamente accertati e ripetibili, si misura in termini di miglioramenti sostanziali che fanno sì che una determinata terapia sia preferibile rispetto ad un’altra – dice Stefano Pergolizzi, Direttore Radioterapia Oncologica Azienda Ospedaliera Universitaria Gaetano Martino di Messina – Il “minor tempo terapeutico” non è solo una mera diminuzione del “tempo di cura” ma deve offrire risultati migliori o identici rispetto ai tempi classici. Gli effetti secondari delle cure devono essere compatibili con gli obiettivi della cura stessa e devono essere sempre, per quanto possibile, meno importanti. Lo sviluppo delle tecniche in radioterapia ha consentito di raggiungere molti obiettivi e la ricerca è sempre attiva nel definire tecniche sempre più innovative”.
Il ruolo dello specialista radioterapista oncologo assume poi un ruolo rilevante anche in chiave di approccio multidisciplinare al trattamento dei tumori.
“L’approccio al paziente oncologico è attualmente estremamente complesso, tanto che nessun singolo specialista può definire e offrire, da solo, al paziente tutte le opzioni utili per una gestione ottimale della sua specifica situazione clinica – conclude Renzo Mazzarotto, Direttore UOC Radioterapia, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona – Le decisioni sul percorso diagnostico-terapeutico si sono dimostrate migliori se assunte dopo discussione fra i vari specialisti che potrebbero intervenire nel percorso di cura. Anche le comunicazioni al paziente di una diagnosi e di un iter diagnostico-terapeutico talvolta lungo e complesso, che spesso provocano ansia e forte preoccupazione in lui e nei famigliari, vengono meglio accettate se effettuate da un gruppo di specialisti che, concordemente, ritiene che quello sia il percorso migliore per la sua situazione clinica. Il lavoro dei team multidisciplinari viene facilitato e reso più omogeneo se viene effettuato seguendo dei PDTA (percorsi diagnostico-terapeutico-assistenziali) precedentemente concordati”.