Roma, 28 ottobre 2020 – Approccio multidisciplinare, accesso uniforme alle terapie innovative e loro uso appropriato e personalizzato alle caratteristiche del paziente, per stabilire la necessità per le strutture ospedaliere e per il servizio sanitario regionale di introdurre la teragnostica nella pratica clinica. Questo l’obiettivo del webinar “Teragnostica, sfide di oggi e prospettive future”, organizzato da Motore Sanità, che ha visto la partecipazione dei massimi esperti del panorama sanitario italiano.
Questo approccio permette, sin dalla fase diagnostica, di migliorare la stadiazione della patologia, selezionare i pazienti non risponder, definire le terapie successive ed il follow-up. I recenti progressi della ricerca hanno portato all’approvazione della prima terapia radio recettoriale per la presa in carico dei pazienti affetti da tumori neuroendocrini.
“Oggi è possibile fare la diagnosi e la terapia di una determinata malattia insieme, non con strumenti molto diversi e non in luoghi e tempi spesso differenti. Con il termine teragnostica si riassume questa nuova disciplina che trova applicazione in Medicina Nucleare e nella pratica clinica, impiegando diverse sostanze che sia da sole sia in coppie possono essere utilizzate per questo scopo: radiofarmaci marcati con radioisotopi gamma o positrone emittenti per la diagnostica possono essere marcati anche con radioisotopi alfa o beta- per la terapia. Una delle più interessanti novità in questo campo è in una classe di neoplasie rare ma piuttosto difficile sia da diagnosticare precocemente che da trattare: i tumori neuroendocrini. È importante arrivare ad un PDTA di riferimento sui tumori neuroendocrini, al fine di garantire la presa in carico ed un trattamento ottimale secondo linee guida basate sull’evidenza scientifica, attraverso un approccio multidisciplinare integrato in tutto il territorio regionale”, ha spiegato Orazio Schillaci, Direttore della Scuola di Specializzazione in Medicina Nucleare, Rettore Università “Tor Vergata”, Roma.
“Neoplasie rare ma in costante crescita nel mondo, le neoplasie neuroendocrine sono così definite perché caratterizzate dalla simultanea presenza di marcatori del sistema nervoso e del sistema endocrino. Note dai primi del 1900, solo nel 2010 sono state riconosciute dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come universalmente maligne e perciò dotate di un sistema omogeneo di misura della loro aggressività biologica (grado) e diffusione (stadio). Possono insorgere in ogni organo mantenendo caratteristiche di tipo e aggressività distintive per ogni sede. Sono più spesso caratterizzate da un comportamento clinico di basso grado di malignità, a significare che, se non trattate, possono diffondere nell’organismo con passo lento ma progressivo. Il loro trattamento d’elezione è la chirurgia, tuttavia soprattutto quando diffuse a multiple sedi dell’organismo (alto stadio) necessitano anche di terapia medica. Le neoplasie neuroendocrine sono tra i primi esempi di cancro per i quali esiste almeno un bersaglio terapeutico molecolare utile a ‘vedere’ la neoplasia ed efficace a frenare la crescita neoplastica. Il bersaglio è il recettore/i dell’ormone somatostatina, presente in grande quantità sulle cellule tumorali. La molecola usata sia per l’imaging sia per il trattamento è l’analogo/i sintetico della somatostatina, coniugato o meno con radionuclidi, che specificamente aggancia il recettore/i. In sintesi, un esempio di teragnostica disponibile e di comprovata efficacia clinica”, ha detto Guido Rindi, Direttore UOC Anatomia Patologica Fondazione Policlinico Universitario “A. Gemelli” IRCCS, Roma.