Roma, 1 luglio 2024 – Una evoluzione dei percorsi di cura nel cancro: è quella a cui stiamo assistendo negli ultimi anni grazie a innovazioni terapeutiche e tecnologiche, approcci neoadiuvanti e formulazioni sottocutanee, elementi chiave che possono generare un impatto significativo sulla sopravvivenza, sulla qualità di vita dei pazienti e sull’efficienza dei centri ospedalieri per il Sistema sanitario.
La rimborsabilità della combinazione di trastuzumab e pertuzumab più chemioterapia ha recentemente modificato il percorso decisionale terapeutico di una forma di carcinoma mammario estremamente aggressiva, il tumore al seno HER2+, nel contesto neoadiuvante (pre-chirurgia). Conosciuta come doppio blocco, ha migliorato la sopravvivenza nelle pazienti ad alto rischio di recidiva.
L’introduzione delle formulazioni sottocutanee rappresenta un’altra importante occasione di ottimizzazione del percorso di cura. Rispetto alla formulazione endovenosa, riduce i tempi di allestimento, somministrazione, osservazione e i costi diretti e indiretti, con benefici sia per l’organizzazione del centro ospedaliero che per la qualità di vita delle pazienti.
Anche di questo si è discusso a Roma nel corso dell’evento macroregionale DUAL ANSWHER2+, promosso da Roche con l’obiettivo di ospitare un dibattito sulle opportunità che offrono queste innovazioni terapeutiche e tecnologiche.
“La terapia neoadiuvante – ha affermato la Responsabile dell’Unità Operativa Semplice Dipartimentale – Medicina di Precisione in Senologia, Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS Roma, Alessandra Fabi – è ormai un caposaldo prechirurgico nel tumore mammario HER2+, determinando un significativo beneficio clinico, associato a una qualità di vita della paziente e alla qualità del percorso terapeutico. Il trattamento neoadiuvante dei tumori HER2+ con il doppio blocco anti HER2 contribuisce, infatti, a rafforzare il modello ‘Breast Unit’, in cui sono impegnati anatomopatologi, chirurghi, radiologi, oncologi, psicologi e altre figure. Aumenta la percentuale di risposte complete patologiche e sopravvivenza libera da malattia”.
“L’innovazione del doppio blocco con formulazione sottocutanea – ha proseguito – permette, come già consolidato in monoterapia con trastuzumab, di ottenere un impatto sulla soddisfazione della paziente e sull’organizzazione interna della struttura ospedaliera, con risvolto positivo sotto il profilo farmaco-economico”.
A conferma di come questa innovazione stia rivoluzionando i percorsi di cura, si registrano trend positivi: oggi le pazienti ad alto rischio che accedono a un percorso neoadiuvante sono il 54% del totale delle donne con tumore HER2+ in fase precoce, percentuale che aumenta alla quasi totalità (85%) se rapportata alla sotto-popolazione ad alto rischio (T>2 e/o N+), per la quale la combinazione è specificamente indicata.
A livello macro-regionale, in Toscana, Lazio, Umbria e Sardegna si registra un dato in linea con la media nazionale (51% su 54%), ma ulteriormente migliorabile, alla luce dei benefici clinici che si possono ottenere: quasi il 60% delle pazienti che beneficia di questa opportunità ha una risposta patologica completa.
Ha sottolineato, al riguardo, la dott.ssa Agnese Fabbri, Responsabile Centro Breast Unit, Ospedale Belcolle di Viterbo, Dipartimento Onco-Ematologico, con riferimento ai risultati dello studio Neopearl: “Condotto in 17 unità oncologiche in tutta Italia, questo studio di Real World Evidence ha dimostrato che, nelle pazienti affette da tumore mammario Her2 positivo in fase iniziale, l’aggiunta di pertuzumab a trastuzumab e chemioterapia è in grado di migliorare il tasso di risposta patologica completa (che passa da 49 a 62%), così come la Event Free Survival (EFS), che risulta significativamente prolungata (81% vs. 93%). Lo studio ha inoltre dimostrato che il beneficio maggiore l’hanno ottenuto le pazienti a prognosi più sfavorevole, senza aumento degli eventi avversi”.
“L’introduzione del nuovo percorso decisionale terapeutico – ha aggiunto il Direttore UOC di Senologia, Azienda Ospedaliera San Giovanni Addolorata di Roma, Lucio Fortunato – ha potenzialità per migliorare in maniera sostanziale il ruolo e il lavoro del chirurgo. Terapia neoadiuvante e chirurgia sono oggi un’accoppiata vincente per tumori con caratteristiche biologiche aggressive, per garantire una migliore qualità dei trattamenti, più conservativi e più efficaci. E immaginiamo già nuove prospettive, nel prossimo futuro, con una possibile omissione, in caso di dimostrata risposta completa confermata istologicamente con una microbiopsia, della chirurgia mammaria”.
“Purtroppo – ha inoltre informato – alcuni studi dimostrano che c’è un ‘tallone d’Achille’ in questo percorso: una diminuzione della richiesta di Breast Conservation dopo chemioterapia Neoadiuvante, anche nei casi in cui il doppio blocco ha funzionato. C’è bisogno di una comprensione migliore dei percorsi e di una maggiore capacità di rassicurazione, nel rispetto del diritto delle donne di decidere che cosa fare”.
Sull’opportunità della formulazione sottocutanea, i percorsi possono essere ancora ottimizzati, per cogliere appieno tutti i vantaggi che questa opzione offre, permettendo una reale e vantaggiosa evoluzione del Sistema, solo se auspicabile per tutti.
“Con la somministrazione sottocute – ha evidenziato Andrea Botticelli, Coordinatore Breast Unit, Università La Sapienza di Roma-Policlinico Umberto I – le donne si sentono meno malate perché passano meno tempo in ospedale e la somministrazione avviene con un’iniezione rapida e poco invasiva nella zona della coscia. Inoltre, cambiano completamente i flussi di accesso all’ospedale, si riducono i tempi e si ottengono molteplici benefici: meno infermieri impegnati, meno sacche per le infusioni, meno attese. Questo avviene sia nel setting precoce, della durata di massimo un anno, ma soprattutto nella fase metastatica, che può prolungarsi nel tempo: la qualità di vita diventa ancora più cruciale e poter assumere il farmaco senza infusioni endovena libera le pazienti da ingombri fisici e azzera il rischio di trombosi e infezioni”.
Un fattore chiave per garantire l’accesso ai migliori percorsi di diagnosi e cura è rappresentato dalla presa in carico della paziente all’interno di un team multidisciplinare o Breast Unit. “L’approccio multidisciplinare è ormai lo standard della buona pratica per tutti i tumori – ha spiegato Giulia d’Amati, Professoressa Ordinaria di Anatomia Patologica, Dipartimento Scienze Radiologiche, Oncologiche e Anatomo Patologiche, Università La Sapienza di Roma-Policlinico Umberto I – ma soprattutto per la mammella, che è stato l’apripista per questo approccio. Aspetti radiologici, istologici e molecolari vengono condivisi e discussi alla luce delle caratteristiche uniche di tumore e paziente. Viene quindi valutata ogni scelta terapeutica percorribile, alla luce delle migliori evidenze, con almeno due discussioni multidisciplinari, prima e dopo la chirurgia”.
“Si tratta di un percorso virtuoso, che richiede tempo e risorse – ha concluso – ma che ha il vantaggio di evitare esami ridondanti, velocizzare i tempi di gestione della paziente e un suo più rapido indirizzamento, non solo su cosa fare, ma anche quando e come farlo”.
Il tumore al seno è la neoplasia più diffusa tra le donne e, con quasi 56mila nuovi casi ogni anno, si conferma il tumore più diagnosticato nel 2023 in Italia. A livello mondiale, le statistiche sono altrettanto significative: ogni 20 secondi si registra una nuova diagnosi (per un totale di 1,67 milioni di nuovi casi) e ogni 5 minuti muoiono di carcinoma mammario più di 3 donne (per oltre 500mila decessi annui).
Circa il 20% delle pazienti presenta un tumore al seno HER2+, una forma particolarmente aggressiva perché maggiormente in grado di recidivare e diffondersi in altri organi: nella maggioranza dei casi riesce ad essere diagnosticata quando il tumore è in stadio iniziale, per un totale di 8.200 donne con tumore al seno HER2+ in fase precoce in Italia.