Prof.ssa Nicoletta Colombo, Direttore del Programma Ginecologia Oncologica dell’Istituto Europeo di Oncologia e Presidente del Comitato Tecnico Scientifico di ACTO (Alleanza Contro il Tumore Ovarico): “La chirurgia è il primo trattamento dopo la diagnosi di carcinoma ovarico, che idealmente dovrebbe essere eseguito entro un mese dalla diagnosi”
Milano, 7 maggio 2020 – “La Giornata mondiale del Tumore Ovarico quest’anno ha un compito speciale: ricordare alle donne che esiste un’emergenza permanente legata a questo tumore, che non può essere messa in secondo piano dall’emergenza Covid-19”. Questo il messaggio per l’8 maggio della prof.ssa Nicoletta Colombo, Direttore del Programma Ginecologia Oncologica dell’Istituto Europeo di Oncologia e Presidente del Comitato Tecnico Scientifico di ACTO (Alleanza Contro il Tumore Ovarico).
“Il cancro ovarico – spiega Colombo – è il più grave tumore femminile, con una mortalità del 60%. In teoria avremmo gli strumenti per dimezzare questa percentuale, se riuscissimo ad individuare la malattia agli esordi. Purtroppo ancora non abbiamo un esame affidabile di screening, ma ci rimangono altre due armi da utilizzare: la tempestività e la massima appropriatezza dell’intervento terapeutico. Questi due pilastri sono salvavita per la donna con una diagnosi di tumore ovarico, e non possono crollare per il rischio di contrarre un virus, per quanto faccia paura”.
Che deve fare allora una donna che scopre di avere un tumore ovarico o una paziente che è già in cura? “La chirurgia è il primo trattamento dopo la diagnosi di carcinoma ovarico, che idealmente dovrebbe essere eseguito entro un mese dalla diagnosi – spiega Colombo – Infatti il tumore ovarico rientra tra le patologie di classe di rischio prioritario (classe A). Quindi anche in piena emergenza Covid-19, l’intervento dovrebbe essere eseguito nei tempi stabiliti”.
“Il sistema sanitario si è attivato per rendere possibile questa indicazione fondamentale per la prognosi della malattia, identificando dei centri “Hub oncologici” cioè centri altamente specialistici, come IEO, predisposti come punto di riferimento oncologico, verso i quali dovrebbero essere indirizzati i malati di tumore dai diversi ospedali territoriali. Questo perché tutti gli altri ospedali hanno chiuso le attività di chirurgia programmata per accogliere i pazienti Covid-19”.
“Di fatto queste misure servono a creare a livello nazionale dei centri protetti dal contagio virale, che non si occupano di curare pazienti Covid, ma si concentrano esclusivamente sui pazienti oncologici, per assicurare che, nonostante l’emergenza Covid-19, possano ricevere tutti i trattamenti necessari”.
“La paziente di tumore ovarico in trattamento farmacologico chemioterapico, potrà quindi continuare le sue terapie in sicurezza. A patto che si affidi a un centro altamente specializzato. Solo in casi particolari, e a discrezione dell’oncologo, è possibile che vengano rimandate alcune procedure. Altrimenti il percorso non cambia”.
“In conclusione, in periodo Coronavirus vale ancora di più la raccomandazione che da anni ripetiamo in Italia e in Europa: chi ha una diagnosi di tumore ovarico si rivolga a un centro specializzato. Esistono gli Ovarian Cancer Center – di cui IEO è stato il primo modello in Italia – e le cure che offrono hanno risultati migliori in termini di efficacia oncologica e qualità di vita della donna”, conclude Colombo.