Promuovere la diffusione sul territorio e l’accesso delle donne ai test genetici BRCA permette la diagnosi precoce del cancro ovarico, la prognosi e il trattamento con farmaci particolarmente innovativi ed efficaci nelle pazienti con mutazione BRCA. A Roma esperti e giornalisti si confrontano su questo tema di grande attualità al Corso di Formazione Professionale Continua “Il caso Gene Jolie: come comunicare con chiarezza e rigore le opportunità dei test genetici nella lotta contro il tumore”, promosso dal Master della Sapienza Università di Roma SGP “La Scienza nella Pratica Giornalistica”. Una ricerca mondiale presentata all’ESMO conferma che il 70% delle donne non conosce il tumore ovarico e solo il 54,7% delle pazienti è stata sottoposta al test genetico BRCA: in Italia la percentuale sale al 65,2%, dato che evidenzia per almeno un terzo delle pazienti ritardo diagnostico e disparità di accesso ai test genetici e alle nuove terapie
Roma, 22 novembre 2018 – L’avvento dei test genetici permette di prevedere, diagnosticare precocemente e trattare al meglio molte forme di tumore. Una di queste è il tumore ovarico che presenta le mutazioni del gene BRCA, di cui si sono occupati i giornali di tutto il mondo in seguito alle vicende dell’attrice Angelina Jolie che, dopo aver scoperto di essere portatrice della mutazione, ha scelto di sottoporsi a chirurgia preventiva.
Ma nonostante il risalto internazionale, l’informazione su questi temi è ancora carente come lo è il ricorso ai test genetici che permettono oggi di identificare persone, o intere famiglie, ad elevato rischio di cancro e consentono di intervenire preventivamente o con terapie innovative mirate ai pazienti che presentano i geni mutati.
Secondo dati AIRTUM, ogni anno nel nostro Paese circa 5.000 donne ricevono una diagnosi di cancro dell’ovaio e la ricerca del gene mutato si pratica in meno del 70% dei casi, nonostante il suo grande valore predittivo e terapeutico. Lo studio Every Woman, la prima ricerca mondiale su pazienti con tumore ovarico promosso dalla World Ovarian Cancer Coalition presentata al recente ESMO 2018, conferma uno scenario sconfortante: il 70% delle donne non ha mai sentito parlare di questa malattia prima della diagnosi; solo il 54,7% delle pazienti è stata sottoposta al test genetico BRCA, percentuale che sale al 65,2% tra le pazienti italiane; preoccupante la variabilità di accesso ai test e ai trattamenti.
Una maggiore conoscenza della malattia e un accesso più omogeneo e con minori ostacoli (tempi di esecuzione, di risposta e qualità del test) sul territorio nazionale al test BRCA, è fondamentale per un riconoscimento precoce del tumore ovarico e per consentire alle pazienti mutate di ricevere farmaci particolarmente efficaci, come ha dimostrato la terapia di mantenimento con olaparib, un PARP inibitore che nello studio SOLO-1 di fase III ha ridotto il rischio di progressione o morte del 70% nelle pazienti con carcinoma ovarico di nuova diagnosi e avanzato con mutazione BRCA.
Come promuovere una comunicazione efficace e chiara su argomenti così delicati e complessi è il tema del Corso di Formazione Professionale “Il caso Gene Jolie: come comunicare con chiarezza e rigore le opportunità dei test genetici nella lotta contro il tumore”, promosso dal Master di comunicazione scientifica della Sapienza SGP – La Scienza nella Pratica Giornalistica.
La medicina sarà sempre più preventiva, predittiva e personalizzata, ciò comporterà di conseguenza il necessario coinvolgimento delle persone e una loro maggiore informazione riguardo la salute, la malattia e gli strumenti per gestirle.
Il tumore dell’ovaio è una malattia insidiosa che nell’80% dei casi, in mancanza di sintomi specifici e di esami che consentano la diagnosi precoce, viene scoperta in fase avanzata, per tale motivo la mortalità resta elevata.
“Oggi – dichiara Sandro Pignata, Direttore di Oncologia Medica Uro-Ginecologica, Istituto Nazionale Tumori IRCCS Fondazione Pascale di Napoli – si raccomanda per tutte le donne affette da carcinoma ovarico la ricerca delle mutazioni BRCA 1 e 2, in tal modo si identificano i casi positivi alla mutazione per i quali è necessario attuare le opportune misure preventive e un follow-up diagnostico molto stretto”.
La storia familiare è uno dei maggiori fattori di rischio del carcinoma ovarico a causa della trasmissione ereditaria della mutazione dei geni BRCA.
“La valutazione dello stato mutazionale di BRCA nelle pazienti con carcinoma ovarico ha un ruolo fondamentale, non solo per l’identificazione della predisposizione familiare al cancro, ma anche per indirizzare le scelte terapeutiche e l’approccio chirurgico – afferma Giovanni Scambia, Direttore Dipartimento per la Salute della Donna e del Bambino, Fondazione Policlinico Universitario “Agostino Gemelli” di Roma – le recenti Linee guida italiane hanno ribadito l’importanza della ricerca della mutazione BRCA per tutte le pazienti con carcinoma ovarico non mucinoso e non borderline, carcinoma delle tube di Falloppio o carcinoma peritoneale primitivo e hanno anche sottolineato come sia preferibile, laddove possibile, eseguire in prima istanza il test somatico, per poi eseguire la ricerca sul germinale in quelle pazienti con esito positivo”.
La comunicazione da parte dei media di tematiche così importanti come il tumore ovarico è compito arduo: da un lato si avverte il bisogno di diffondere la conoscenza su questa patologia dall’altro il rischio è quello di cadere nel sensazionalismo fine a se stesso.
È sempre più urgente ricostruire un’alleanza comunicativa tra medici e pazienti dalla quale il giornalismo scientifico può trarre spunti positivi per portare nel modo giusto all’opinione pubblicale conoscenze, i progressi e le speranze.