È difficilissimo diagnosticarlo e, soprattutto, da oltre 40 anni, nonostante gli sforzi non si registrano miglioramenti significativi nelle aspettative di guarigione. L’Associazione Women For Oncology Italy pone l’attenzione su questa patologia in occasione della Giornata Mondiale ad essa dedicata
Milano, 10 maggio 2018 – Forse non tutti sono a conoscenza che fu Barack Obama ad istituire la Giornata Mondiale del tumore ovarico dopo aver perso la madre a causa di questa malattia. Più nota è certo la vicenda di Angelina Jolie, che qualche anno fa decise di farsi asportare entrambe le ovaie per evitare l’insorgere della patologia per la quale era geneticamente predisposta.
Ma al di là dei casi celebri, il tumore all’ovaio continua a restare una ‘cenerentola’ tra i tumori solidi, nei confronti del quale non ci sono ancora adeguati investimenti di ricerca né, purtroppo, strumenti di diagnosi precoce realmente efficaci. Ma si deve iniziare a parlarne di più.
A lanciare il monito è l’Associazione Women For Oncology Italy, che nella Giornata mondiale del tumore ovarico interviene ribadendo la necessità di puntare finalmente i riflettori anche su questa neoplasia che colpisce, in Italia, circa 5.600 donne ogni anno.
“Il problema del tumore ovarico – spiega Domenica Lorusso, Dirigente Medico U.O.C. Oncologia Ginecologica, della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori di Milano, nonché tra le fondatrici di Women For Oncology Italy – è che è un tumore ritenuto raro, rispetto al quale sono difficilissimi sia la diagnosi che la ricerca: la diagnosi perché non abbiamo screening adeguati per la prevenzione o l’anticipo diagnostico e oggi circa il 70% delle pazienti viene diagnosticato con una malattia allo stadio III e IV. In secondo luogo, man a mano si acquisiscono conoscenze biologiche sul tumore ovarico, ci si rende conto che si tratta in realtà di 5 tipologie diverse di neoplasia, che hanno storie cliniche diverse e che ovviamente, se inserite tutte indistintamente nel medesimo trial clinico non possono dare la stessa risposta in termini di efficacia delle cure: occorre pensare questa patologia al plurale: i tumori ovarici, non solo uno”.
Soprattutto, occorre fare più ricerca: al momento, essendo appunto ritenuto raro, non abbiamo ancora la possibilità di accedere a tanti farmaci già disponibili in altre patologie, né un adeguato numero di pazienti per poter arrivare a delle evidenze scientifiche solide.
“È molto importante che ci siano giornate come queste – continua Lorusso – per riportare all’attenzione pubblica la necessità di spingere di più nella lotta contro questo tipo di tumore: oggi la buona notizia è che su 5.600 casi l’anno circa 3.700 donne sopravvivono, cioè oltre la metà. La notizia meno buona, e che dovrebbe fare molto riflettere, è che questo trend di sopravvivenza è lo stesso da 40 anni: abbiamo migliorato solo dell’8 per cento le probabilità di sopravvivenza nell’arco di 4 decenni. È un dato estremamente negativo”.
La causa di insorgenza del tumore ovarico è in parte genetica, dovuta alla mutazione dei geni BRCA 1 e 2. Ad oggi, l’unica forma veramente efficace di prevenzione primaria sarebbe quella di studiare per la mutazione tutte le pazienti affette da questo tumore e, quando la mutazione viene diagnosticata, allargare lo studio a tutte le donne sane della famiglia per proporre a queste, quando mutate, l’asportazione delle ovaie e/o delle tube al completamento della vita fertile, per evitare alla radice l’insorgenza del carcinoma. Almeno fino a quando la scienza non sarà in grado di proporre altre soluzioni.