Si apre oggi a Genova il convegno “Back From San Antonio” sulle novità più importanti nella lotta alla neoplasia. Possibile sospendere le cure avere un figlio, ma serve la rete di oncofertilità. Lo studio POSITIVE ha dimostrato che interrompere la terapia ormonale per 2 anni non aumenta il rischio di recidiva: il 74% delle donne ha avuto una gravidanza e il 64% l’ha portata a termine. La prof.ssa Del Mastro, Ordinario di Oncologia all’Università di Genova: “Vanno migliorati i percorsi dedicati alla prevenzione dell’infertilità in tutte le Regioni. L’Ospedale ‘San Martino’ esempio virtuoso: da 20 anni è presente l’unità di oncofertilità”
Genova, 13 gennaio 2023 – Oggi, in Italia, solo il 5% delle pazienti under 40 colpite da tumore del seno riesce a diventare madre dopo la malattia, ma grazie alla ricerca questa percentuale può aumentare. Le giovani donne colpite da carcinoma mammario in stadio iniziale infatti possono interrompere per due anni la terapia ormonale adiuvante (cioè successiva all’intervento chirurgico) per cercare una gravidanza.
Lo dimostra lo studio POSITIVE presentato al “San Antonio Breast Cancer Symposium”, il più importante convegno internazionale su questa neoplasia (che si è svolto lo scorso dicembre a San Antonio, Stati Uniti). La ricerca ha coinvolto 518 donne di età pari o inferiore a 42 anni con carcinoma mammario in stadio iniziale positivo per i recettori ormonali. In questi casi, la terapia endocrina viene somministrata per ridurre il rischio che la malattia si ripresenti.
Lo studio ha dimostrato che il tasso di recidiva a tre anni è stato dell’8,9%, simile a quello dello studio SOFT/TEXT (9,2%) che aveva incluso donne in premenopausa sottoposte alla stessa terapia e utilizzato come confronto. Il 74% delle donne ha avuto almeno una gravidanza, che è terminata con successo nel 64% dei casi. Purtroppo, in Italia, il desiderio di diventare madri dopo la malattia continua a essere sottovalutato. È necessario implementare i percorsi dedicati alla prevenzione dell’infertilità nelle pazienti oncologiche in tutte le Regioni, attraverso strutture multidisciplinari, che diano vita ad una Rete di centri di Oncofertilità.
L’appello viene dal congresso “Back From San Antonio”, che si apre oggi a Genova e dedicato alle principali novità dal “San Antonio Breast Cancer Symposium”. Il capoluogo ligure è capofila a livello mondiale nella ricerca e definizione delle tecniche di preservazione della fertilità.
“In circa il 70% dei casi il carcinoma della mammella presenta i recettori ormonali positivi e richiede per un periodo di 5 anni il trattamento adiuvante con la terapia endocrina, che da un lato riduce il rischio di recidiva, dall’altro sopprime la funzione ovarica e, quindi, la possibilità di avere un figlio – spiega Lucia Del Mastro, Professore Ordinario e Direttore della Clinica di Oncologia Medica dell’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino, Università di Genova – Le sperimentazioni condotte fino a oggi avevano dimostrato la sicurezza della gravidanza al termine delle cure anticancro. Per la prima volta, lo studio POSITIVE evidenzia che, dopo almeno un anno e mezzo, è possibile sospendere la terapia endocrina per due anni con l’obiettivo di avere un figlio, per poi riprendere il trattamento. Sono state osservate anomalie congenite nel 2% dei bambini, percentuale simile alla popolazione generale, e il 60% delle donne ha allattato”.
“Oggi, nel nostro Paese, la bassa percentuale di giovani pazienti che riescono ad avere un figlio dopo il tumore del seno contrasta nettamente con il 50% di donne che, al momento della diagnosi, dichiara di desiderare una maternità – continua la prof.ssa Del Mastro – Quali i motivi? Sicuramente vi è il fatto che, prima dello studio POSITIVE, le donne con neoplasia endocrinoresponsiva dovevano aspettare almeno 5 anni prima di provare ad avere una gravidanza, andando quindi incontro a un’età più matura. Questo studio dimostra che la sospensione della terapia ormonale è una procedura sicura e può incrementare la percentuale di giovani donne che riescono ad avere un figlio prima di terminare le cure. Non solo. Nel nostro Paese vanno create collaborazioni strutturate fra le oncologie e i centri di procreazione medicalmente assistita, per rispondere tempestivamente alle richieste delle pazienti. L’aspetto fondamentale delle tecniche di preservazione della fertilità è il tempismo: ad esempio la crioconservazione degli ovociti deve avvenire prima dell’inizio della chemioterapia. La creazione di una Rete consente di definire percorsi dedicati e riconosciuti, oggi presenti solo in alcuni ospedali”.
“Il ‘San Martino’ di Genova è un esempio virtuoso in Italia e a livello internazionale – spiega Salvatore Giuffrida, Direttore Generale dell’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova – Quasi vent’anni fa, siamo stati il primo ospedale in Italia a istituire questa collaborazione fra la struttura di oncologia e il centro di procreazione medicalmente assistita, creando l’unità funzionale di oncofertilità, e siamo stati uno dei primi centri, anche grazie al sostegno della Regione Liguria, a implementare queste procedure di assistenza alle donne che vanno incontro alla diagnosi di cancro durante la gravidanza e a coloro che vogliono preservare la fertilità dopo il tumore”.
A Genova il 10% delle giovani donne riesce ad avere un figlio dopo il carcinoma della mammella, il doppio rispetto alla media nazionale. “Al ‘San Martino’ siamo in grado di fornire a tutte le giovani pazienti un percorso privilegiato di accesso al counselling riproduttivo, riducendo così il più possibile il ritardo nell’inizio dei trattamenti antitumorali – afferma Antonio Uccelli, Direttore scientifico dell’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova – All’attività clinica si affianca quella di ricerca. Nel nostro centro, nel 2022, abbiamo inserito in studi clinici circa 500 pazienti con tumore del seno in fase iniziale o metastatica. In particolare circa il 16% di tutti i nuovi casi diagnosticati in fase iniziale è inserito in studi di terapia adiuvante o neoadiuvante”.
“Proprio a Genova è stata definita una delle tre principali tecniche di preservazione della fertilità, cioè l’utilizzo di farmaci, analoghi LH-RH, per proteggere e mettere a riposo le ovaie durante la chemioterapia. In questo modo, si riduce in maniera significativa il rischio di danneggiare la funzione riproduttiva e di sviluppare una menopausa precoce – sottolinea Matteo Lambertini, Professore Associato Convenzionato di Oncologia Medica all’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino, Università di Genova – Le altre tecniche sono costituite dalla crioconservazione, cioè dal congelamento, degli ovociti o del tessuto ovarico”.
Dall’1 gennaio 2023, il prof. Lambertini è stato eletto Presidente della “Young Oncologists Committee” della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO, European Society for Medical Oncology). “L’ESMO è una delle società scientifiche in ambito medico più importanti con i suoi quasi 30.000 soci in tutto il mondo, di cui circa il 40% sono giovani oncologi d’età inferiore a 40 anni – continua il prof. Lambertini – Si tratta di una posizione molto prestigiosa, perché mi permetterà nei prossimi due anni di sedere nel consiglio direttivo di ESMO e di coordinare in prima persona le attività di ESMO volte a supportare dal punto di vista professionale ed educazionale i giovani oncologi di tutto il mondo”.
“Questa nomina – spiega Salvatore Giuffrida – rappresenta un motivo d’orgoglio per l’Università di Genova, l’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino e la Regione Liguria, in considerazione del prestigio e della visibilità internazionale che offrirà”.
Dal Congresso di San Antonio importanti novità anche sul fronte dei trattamenti. “Sono stati presentati i dati aggiornati dello studio ‘monarchE’ su abemaciclib, che appartiene alla classe degli inibitori di cicline, in adiuvante, in combinazione con la terapia endocrina standard per il trattamento del carcinoma mammario in fase precoce ad alto rischio, positivo al recettore ormonale, negativo per la proteina HER2 e con linfonodi positivi – afferma Saverio Cinieri, Presidente AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) – Dopo un periodo di osservazione mediano di 3,5 anni dalla fine del trattamento, il rischio di sviluppare una recidiva invasiva di malattia si è ridotto del 33,6%. L’aggiunta di abemaciclib in adiuvante ha anche ridotto del 34,1% il rischio di sviluppare una malattia metastatica. Sono risultati molto importanti, perché riguardano pazienti con tumore a più alto rischio di ricaduta dopo l’intervento”.
“Sono significativi anche i passi avanti nel trattamento della malattia metastatica – continua il prof. Cinieri – A San Antonio, sono stati presentati i risultati aggiornati dello studio DESTINY-Breast03, che hanno dimostrato che trastuzumab deruxtecan, anticorpo monoclonale farmaco-coniugato, porta a un miglioramento significativo della sopravvivenza globale rispetto a T-DM1, un altro anticorpo coniugato anti HER2 e precedente standard di cura, in pazienti con carcinoma mammario HER2-positivo metastatico, precedentemente trattate. Trastuzumab deruxtecan ha ridotto del 36% il rischio di morte rispetto a T-DM1. Non solo. La sopravvivenza libera da progressione è quadruplicata rispetto alla terapia di riferimento, arrivando a 28,8 mesi. Un vantaggio di entità mai osservata prima nel carcinoma mammario”.
“Sono emersi risultati favorevoli anche con l’impiego di una nuova classe di farmaci, i cosiddetti SERD (degradatori selettivi del recettore degli estrogeni) orali: camizestrant ed elacestrant – evidenzia il prof. Cinieri – Si tratta di farmaci utili per le donne con carcinoma mammario ormono-sensibile in fase metastatica. Sempre per questo sottogruppo di pazienti si conferma l’efficacia degli inibitori di PI3K, come capivasertib, in aggiunta alla endocrinoterapia standard”.
Durante il congresso “Back From San Antonio”, che vede oltre 250 partecipanti in questa edizione, sono assegnati tradizionalmente due premi a giovani oncologi under 40, prime firme di lavori scientifici pubblicati nel 2022. Quest’anno, uno dei riconoscimenti è andato a Marco Tagliamento, dell’Università di Genova (attualmente all’Istituto Gustave Roussy di Parigi), per il lavoro in corso di pubblicazione sul “Journal of Clinical Oncology” in cui ha valutato l’impatto del Covid e della vaccinazione anti-Covid in pazienti in trattamento per carcinoma mammario, l’altro a Gaia Griguolo, dell’Università di Padova, per il lavoro pubblicato su “Neuro-Oncology” sulle metastasi cerebrali da carcinoma mammario.
“È molto importante valorizzare il contributo attivo dei giovani alla ricerca oncologica – conclude la prof.ssa Del Mastro – Attraverso il loro impegno diretto ed in prima persona, è possibile aprire e portare avanti nuove linee di ricerca con potenziali importanti ricadute nella pratica clinica”.