Sì alla terapia ormonale adiuvante, se promette molti anni di vita in più. Il disturbo più temuto: i problemi cognitivi. Presentati i risultati IEO del più ampio studio sulle preferenze delle pazienti
Milano, 3 dicembre 2019 – Oggi le donne con tumore del seno in fase iniziale hanno aspettative molto più alte, rispetto al passato, circa la terapia ormonale “adiuvante”, cioè assunta precauzionalmente per ridurre il rischio di ripresa di malattia. Lo rileva lo studio ELENA (EvaLuation of EndocriNe therApy and patients preferences in early breast cancer patients), la ricerca più ampia sulle preferenze delle donne rispetto alla terapia ormonale precauzionale, realizzata in un anno, su 452 pazienti, dagli oncologi e chirurghi del Programma di Senologia dell’Istituto Europeo di Oncologia.
Le pazienti sono state divise in tre gruppi, in base al tempo di assunzione della terapia: prima di iniziare, dopo qualche mese e dopo molti anni. A tutte è stato chiesto, durante la visita ambulatoriale, di compilare un questionario mirato a determinare qual è il risultato della terapia ormonale adiuvante, in termini di aumento della sopravvivenza e di numero di donne salvate, che la donna giudica il minimo necessario per accettare di sottoporsi alla cura o di continuarla.
“Le risposte sono risultate omogenee nei tre gruppi -commenta Emilia Montagna, oncologa e coordinatrice dello studio ELENA – Rispetto agli studi precedenti, emerge chiaramente che le pazienti di oggi richiedono vantaggi molto più evidenti perché valga la pena di assumere la terapia ormonale: molti anni di vita in più, rispetto ai pochi mesi delle analisi precedenti. Le motivazioni sono diverse. Nel nostro studio abbiamo incluso molte donne giovani, in cui il trattamento ormonale può avere implicazioni importanti sulla vita di coppia, sulla sessualità, sul desiderio di maternità. Oggi le donne sono anche più consapevoli ed informate e la valutazione del bilancio rischio/beneficio può essere complessa”.
“Come donne crediamo nell’importanza di raccontare sé stesse – aggiunge Manuelita Mazza, oncologa coautrice dello studio – ma il nostro obiettivo non è soltanto ascoltare e capire le nostre pazienti, ma dare loro un ruolo attivo nella cura. Le preferenze delle pazienti, come suggeriscono anche le linee guida, hanno un ruolo importante nella definizione del programma di cure. Le nostre pazienti ci aiutano a modellare le cure e ci permettono azioni correttive, ove possibile. Lo studio ELENA prevedeva infatti un questionario sulla percezione degli effetti collaterali, anche psicologici, della terapia ormonale”.
“Ciò che fa più paura alle donne – conclude la dott.ssa Montagna – è il possibile deficit cognitivo, inteso in particolare come disturbi della memoria e dell’attenzione. In tutti e tre i gruppi, questo potenziale effetto collaterale, che è più spesso una percezione che non un reale effetto del trattamento, è considerato il meno compatibile con la continuazione della terapia ormonale. La volontà di intraprendere o continuare la cura è peraltro indipendente dall’età, dal matrimonio o dalla presenza di figli. I risultati di questo studio rappresentano un’occasione per sottolineare l’importanza del momento della discussione della terapia tra medico e paziente e per programmare interventi per migliorare la tolleranza della terapia. Dallo studio ELENA emerge chiaramente l’immagine di una donna che è informata, consapevole della malattia e che vuole poter decidere per sé”.