Tumore del seno, le interazioni farmacologiche compromettono le cure anticancro

All’ESMO Breast Annual Congress presentati i risultati di uno studio tutto italiano, BioItaLEE. In un terzo delle donne scoperti “conflitti” fra terapie per le patologie concomitanti: la sopravvivenza libera da progressione scende a 20 mesi, rispetto ai 28 nelle altre pazienti. Il prof. Marchetti, Presidente della Fondazione per la Medicina Personalizzata: “Nuove piattaforme sono in grado di valutare queste interazioni negative fra trattamenti”. Inoltre, alla prima Conferenza internazionale sulla prescrittomica e sulla medicina di precisione di Lisbona, l’esperienza dell’Ospedale Sant’Andrea di Roma in tema di riconciliazione terapeutica: risparmi per il sistema

Roma, 21 maggio 2024 – Nel tumore della mammella metastatico il 30% delle pazienti presenta interazioni con farmaci assunti per patologie concomitanti, che possono ridurre in modo sostanziale l’efficacia delle cure anticancro. Lo dimostrano i risultati della sottoanalisi di uno studio tutto italiano (BioItaLEE), presentato al Congresso sul tumore del seno della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO Breast Annual Congress), che si è svolto recentemente a Berlino. Da qui l’importanza di adottare i principi della “riconciliazione terapeutica” da parte dei clinici, per ridurre le conseguenze negative di queste interazioni farmacologiche.

Prof. Paolo Marchetti

“L’ultima frontiera della medicina di precisione è lo studio delle interazioni tra ‘sistemi complessi’ – spiega Paolo Marchetti, Presidente della Fondazione per la Medicina Personalizzata – Finora abbiamo affrontato il problema della complessità del cancro, con studi sempre più mirati sulla profilazione genomica, tralasciando, per difficoltà operative, l’integrazione con il contesto clinico complessivo del paziente”.

“Con i nuovi sistemi di valutazione delle informazioni, basati sul machine learning e sull’intelligenza artificiale, oggi siamo in grado di analizzare ulteriori informazioni, come le interazioni fra i farmaci e i meccanismi di resistenza – continua Marchetti – Un aspetto poco considerato nella pratica clinica, infatti, è rappresentato dai possibili rapporti tra le terapie somministrate al paziente oncologico per altre patologie, da cui è spesso affetto, e la risposta alle cure anticancro, come i farmaci a bersaglio molecolare e l’immunoterapia”.

“Da qui la necessità di piattaforme che siano in grado di valutare le interazioni negative tra i farmaci, con l’obiettivo di ampliare il numero di pazienti che possono trarre vantaggio da trattamenti innovativi – prosegue il prof. Marchetti – Per questo è stata realizzata, in stretta collaborazione tra l’Università La Sapienza di Roma e l’Università La Charité di Berlino, una piattaforma, Drug-Pin, che mira alla ‘riconciliazione terapeutica’, cioè a rendere compatibili le diverse terapie assunte dal paziente, con l’obiettivo primario di ampliare il numero di pazienti che possono beneficiare dei farmaci a bersaglio molecolare o dell’immunoterapia”.

Nello studio BioItaLEE sono stati arruolati 287 pazienti con tumore della mammella avanzato o metastatico positivo per i recettori ormonali e negativo per la proteina HER2, trattati in prima linea con lo standard di cura, costituito da un inibitore di CDK4/6 in combinazione con la terapia antiormonale.

“L’obiettivo dell’analisi era valutare se le interazioni farmacologiche avessero conseguenze sull’efficacia della cura anticancro – afferma Andrea Botticelli, Responsabile della Breast Unit del Policlinico Umberto I Roma – Il 30% delle pazienti ha presentato interazioni clinicamente significative, con una diminuzione dell’efficacia del trattamento standard di circa 8 mesi. Nelle pazienti con interazioni farmacologiche, infatti, la sopravvivenza libera da progressione ha raggiunto 20 mesi, rispetto ai 28 nelle altre donne prive di conflittualità fra terapie”.

“Farmaci cardiologici, inibitori di pompa protonica e antipsicotici erano le principali classi farmaceutiche in ‘conflitto’ con le cure oncologiche – prosegue Botticelli – I risultati di BioItaLEE costituiscono un ulteriore tassello per la medicina di precisione e devono rappresentare uno stimolo per tutti i clinici a riconoscere le interazioni farmacologiche e a promuovere la riconciliazione terapeutica. La soluzione non consiste nell’interruzione delle cure per le altre patologie ma, a parità di principio attivo, nell’individuazione della terapia che non presenti conflittualità con il trattamento anticancro in corso”.

“Anche in altri tumori – continua il prof. Marchetti – come il melanoma o le neoplasie della testa e del collo, abbiamo osservato risultati simili, con una importante riduzione (6/8 mesi) del controllo di malattia in circa un terzo dei pazienti. Un dato che impone una profonda riorganizzazione dei percorsi terapeutici, inserendo al termine della discussione multidisciplinare di patologia la fase di riconciliazione terapeutica, come momento preliminare alla prescrizione di farmaci ad alto costo. Con i nuovi sistemi di raccolta delle informazioni ed analisi dei dati, basati su strumenti bioinformatici, sul machine learning e sull’intelligenza artificiale, potranno emergere ulteriori informazioni per valutare i meccanismi di resistenza, che possono dipendere da molti fattori, tra cui anche il ruolo del microbiota, del microambiente tumorale o la somministrazione di altri farmaci per malattie concomitanti”.

Inoltre, alla prima Conferenza internazionale sulla prescrittomica e sulla medicina di precisione (“1st International Caparica Conference on Prescriptomics and Precision Medicine”), che si è svolta recentemente a Lisbona, è stata presentata l’esperienza dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Sant’Andrea di Roma.

“La prescrittomica consiste nell’utilizzo in pratica clinica di strategie per ottimizzare le scelte prescrittive, riducendo le interazioni negative fra i farmaci – sottolinea Maurizio Simmaco, Professore Ordinario di Biologia Molecolare all’Università La Sapienza di Roma e Direttore del Dipartimento di Scienze Diagnostiche all’Azienda Ospedaliero-Universitaria Sant’Andrea di Roma – Il 20% degli accessi delle persone anziane ai Pronto Soccorso è determinato proprio da problemi dovuti all’interazione fra terapie in atto, come sanguinamenti, eventi trombotici, cadute. Inoltre, vi sono farmaci che non devono essere somministrati dopo una certa età, a pazienti affetti da specifiche patologie. Ad esempio, le statine in prevenzione primaria, cioè per prevenire disturbi cardiovascolari in persone a rischio che non ne abbiano già sofferto, sono controindicate nelle persone con più di 80 anni, in particolare se fragili. Gli inibitori di pompa non devono essere assunti per più di 2 mesi, ma alcuni pazienti proseguono per anni. Sappiamo che questi farmaci impattano metabolicamente sugli altri trattamenti e provocano conseguenze negative nel paziente”.

“A Lisbona, al Prescriptomics & Precision Medicine 2024, abbiamo presentato l’esempio virtuoso dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Sant’Andrea di Roma, sviluppato in collaborazione con la Regione Lazio – continua il prof. Simmaco – Da molti anni utilizziamo sistemi digitali integrati di prescrizione, per scegliere i trattamenti che presentino il minimo rischio di tossicità e la massima probabilità di efficacia. In questo modo, si ottiene un duplice vantaggio: da un lato benefici per i pazienti, dall’altro risparmi per il sistema. Questi strumenti bioinformatici, utilizzabili in qualsiasi ambito clinico, permettono di raggiungere la gestione ottimale del farmaco, con una precisione un tempo impensabile. Nel sistema vanno inserite informazioni sul paziente relative, ad esempio, a età, sesso, stili di vita, diverse patologie e, nei Centri in cui è possibile come il nostro, la profilazione dei geni che codificano per le proteine coinvolte nel metabolismo dei farmaci. Tutto, ovviamente, deve partire da una diagnosi corretta da parte del medico. Ad esempio, nel paziente politrattato psichiatrico, grazie a questi sistemi integrati, si ottiene un importante aumento delle terapie accettate dal paziente rispetto ai metodi tradizionali. Oltre alla riduzione del numero di farmaci prescritti, vi è anche un risparmio economico per il sistema, stimabile in circa il 20-25% del totale della spesa”.

“Con questa diversa sensibilità ad un tema apparentemente noto, ma trascurato nella pratica clinica anche a livello internazionale – conclude Paolo Marchetti – si potrebbero ridurre sofferenze evitabili e spese inutili”.

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