Il prof. Sergio Bracarda, Direttore Oncologia di Arezzo: “Per la quinta volta in poco più di un anno uno studio su nivolumab è stato interrotto perché ha raggiunto in anticipo l’obiettivo”. Il prof. Giacomo Cartenì, Direttore Oncologia dell’Ospedale Cardarelli di Napoli: “Migliora anche la qualità di vita”
Roma, 19 aprile 2016 – L’efficacia dell’immunoncologia si estende al tumore del rene, che nel nostro Paese ha fatto registrare 10.400 nuovi casi nel 2015. In poco più di un anno ben 5 studi in cui è stata sperimentata una nuova molecola immunoncologica, nivolumab, sono stati interrotti in anticipo perché hanno raggiunto l’obiettivo ambizioso di un aumento della sopravvivenza. Il melanoma ha aperto la strada, a seguire il tumore del polmone non a piccole cellule (nelle due istologie, squamoso e non squamoso), e, negli ultimi mesi, il carcinoma renale e i tumori del distretto testa collo. Questo approccio innovativo permette anche di migliorare la qualità di vita dei pazienti.
“È la dimostrazione che il meccanismo d’azione dell’immunoncologia ha un’efficacia trasversale, non limitata a una sola patologia, proprio perché stimola il sistema immunitario rinforzandolo nella lotta contro la malattia – spiega il prof. Sergio Bracarda, Direttore della UOC di Oncologia Medica di Arezzo, Azienda USL Toscana SUDEST – Nivolumab è approvato negli Stati Uniti e in Europa per il trattamento dei pazienti con carcinoma a cellule renali avanzato precedentemente trattati. Lo studio di fase III che ha portato alla registrazione della molecola ha evidenziato un aumento della sopravvivenza del 27%, pari a più di 5 mesi, rispetto allo standard di cura (25 mesi rispetto a 19,6 mesi)”.
In diciassette anni (1990-2007) la sopravvivenza a cinque anni delle persone colpite da tumore del rene è aumentata del 10%. Per i casi diagnosticati più recentemente la sopravvivenza è pari al 69% per gli uomini e al 73% per le donne. Passi in avanti importanti realizzati grazie alle terapie e alla diagnosi precoce. Il 60% circa delle neoplasie renali è individuato casualmente, come diretta conseguenza dell’impiego, sempre più diffuso, della diagnostica per immagini in pazienti non sospetti in senso oncologico.
“Ma circa un quarto delle diagnosi avviene in stadio avanzato, con limitate possibilità di trattamento – afferma il prof. Giacomo Cartenì, Direttore dell’Oncologia Medica dell’Ospedale Cardarelli di Napoli – Nel cancro del rene la chemioterapia e la radioterapia si sono dimostrate, storicamente, poco efficaci. Globalmente, il tasso di sopravvivenza a cinque anni, nei pazienti che ricevono diagnosi di tumore del rene metastatico o avanzato, è del 12,1%. Pertanto la disponibilità di nuove armi come nivolumab potrà migliorare in maniera significativa la capacità di gestione complessiva di questa neoplasia. Nell’immunoncologia il beneficio clinico deve essere osservato in base alla sopravvivenza e può invece sfuggire se si utilizzano i parametri ‘classici’ rappresentati dalla risposta oggettiva o dalla sopravvivenza libera da progressione. Va inoltre messo in evidenza l’aumento significativo dei pazienti vivi nei diversi tempi di osservazione. In uno studio di fase 1, con un follow-up a 3 anni, è stato evidenziato il 44% di pazienti vivi”.
Anche l’impatto sulla qualità di vita è importante. “Nello studio di fase III – continua il prof. Cartenì – i pazienti trattati con nivolumab hanno manifestato un miglioramento dei sintomi correlati alla malattia e della qualità di vita rispetto allo standard di cura. I risultati hanno evidenziato che entro 20 settimane di terapia i pazienti trattati con la nuova molecola hanno manifestato un significativo miglioramento dei sintomi, mentre i pazienti trattati con lo standard di cura hanno mostrato un evidente deterioramento entro la quarta settimana”.
Nel melanoma, grazie al trattamento con ipilimumab, il primo farmaco immunoncologico approvato, il 20% dei pazienti è vivo a 10 anni. “I dati a disposizione sono ancora poco maturi per utilizzare il termine lungosopravviventi nel carcinoma renale – conclude il prof. Bracarda – ed è necessario un follow up più lungo. Ciò che emerge è comunque l’aumento significativo di pazienti vivi nei diversi tempi di osservazione. Alla luce della tendenza già vista in precedenti studi con farmaci immunoncologici, è possibile che queste percentuali di sopravvivenza si mantengano anche negli anni successivi e che quindi si possa in futuro parlare di lungosopravviventi. Si stanno aprendo inoltre ulteriori prospettive molto interessanti grazie ad altri studi che stanno valutando combinazioni di farmaci, quali ipilimumab e nivolumab, atezolizumab e bevacizumab e altre ancora”.
fonte: ufficio stampa