Prof. Cesare Gridelli, Direttore Onco-Ematologia Ospedale Moscati di Avellino: “Le persone in trattamento attivo hanno continuato a venire nei centri. Creati percorsi separati contro il contagio ed eseguite molte visite di controllo con la telemedicina. L’immunoncologia migliora la sopravvivenza nello stadio III”
Napoli, 19 novembre 2020 – In Campania, ogni anno, si registrano circa 4.100 nuovi casi di tumore del polmone (3.000 uomini e 1.100 donne). È la Regione con i più alti tassi di incidenza di questa neoplasia negli uomini (112 casi ogni 100mila abitanti), ben oltre Liguria (106,9) e Piemonte (101,6), che occupano la seconda e terza posizione.
Il fumo di sigaretta, il principale fattore di rischio oncologico, infatti è molto diffuso in Campania, dove il 26,5% della popolazione è tabagista (25,3% Italia). La continuità di cura, anche durante la pandemia, è fondamentale per i pazienti oncologici, in particolare per quelli colpiti da carcinoma polmonare, perché l’interruzione della terapia può determinare una veloce progressione del cancro.
“Le Oncologie della Campania, a oggi, non hanno subito restrizioni di posti letto a causa della pandemia da Covid-19 – afferma il dott. Cesare Gridelli, Direttore Dipartimento di Onco-Ematologia dell’Azienda Ospedaliera ‘Moscati’ di Avellino – Oncologia, Ematologia e Radioterapia hanno proseguito l’attività, così come non sono stati interrotti i ricoveri e gli interventi chirurgici oncologici. Non abbiamo osservato riduzioni negli accessi in ospedale da parte di pazienti con cancro in trattamento attivo, che hanno continuato a venire nei centri per le cure. È fondamentale garantire l’aderenza alle terapie, rassicurando i malati sull’esistenza di percorsi separati e sicuri all’interno degli ospedali”.
“Va inoltre considerato che, in caso di sospetto contagio, è possibile differire di qualche giorno il trattamento anti-cancro, in attesa del risultato del tampone – prosegue Gridelli – Vi è stato invece un calo dell’attività ambulatoriale in presenza relativamente al follow up, cioè ai controlli dei pazienti non più in trattamento attivo, perché è stata condotta in gran parte con modalità telematiche, cioè via mail o telefono. Una scelta dettata dall’esigenza di ridurre gli accessi in ospedale e di rispondere al timore di alcuni pazienti di recarsi nei centri per gli esami di controllo a causa del virus”.
“La radioterapia è una componente decisiva nella cura dei tumori: si stima che oltre il 50% dei pazienti affetti da neoplasia abbia necessità del trattamento radiante per l’eradicazione locale della malattia o per migliorare la qualità di vita attraverso il controllo di sintomi – spiega il dott. Cesare Guida, Direttore Radioterapia Ospedale del Mare di Napoli – Il percorso terapeutico del paziente con carcinoma polmonare deve essere sempre coordinato da un gruppo multidisciplinare di esperti composto da chirurgo, oncologo e radioterapista per valutare, caso per caso, il miglior approccio di cura. Ciascun componente di questa équipe svolge un ruolo fondamentale”.
L’85% delle diagnosi di tumore del polmone riguarda la forma non a piccole cellule, la più frequente. Un terzo di questi pazienti riceve una diagnosi di malattia in stadio III: circa 1.150 casi in Campania ogni anno.
“Ad oggi – continua il dott. Guida – le combinazioni terapeutiche utilizzate nel carcinoma polmonare localmente avanzato sono la chemioterapia somministrata insieme alla radioterapia (chemio-radioterapia concomitante) e la chemioterapia che precede la chirurgia (quando fattibile) o la radioterapia (chemio-radioterapia sequenziale)”.
“Il tumore del polmone è una patologia complessa, ma oggi, grazie all’immunoncologia, lo scenario delle opzioni terapeutiche sta cambiando – sottolinea il dott. Gridelli – Questo approccio, in particolare nello stadio III localmente avanzato non operabile, può migliorare il controllo della malattia con una sopravvivenza a lungo termine. I farmaci immunoncologici sono utilizzati in aggiunta ai trattamenti disponibili come la chemio-radioterapia standard. Il percorso terapeutico di questi pazienti prevede numerose visite al centro specializzato, prima per i cicli di chemio-radioterapia poi per l’immunoterapia di mantenimento. Anche durante la pandemia abbiamo garantito la continuità di cura a tutti i malati”.
“Nei pazienti già sottoposti a chemioterapia e radioterapia – conclude il dott. Gridelli – un tempo il trattamento si riteneva concluso ed erano possibili solo un monitoraggio e una valutazione ogni 3-4 mesi, per verificare lo stato della malattia ed eventuali sviluppi o recidive. I trattamenti immunoncologici, come durvalumab, si inseriscono proprio in questo arco di tempo. Durvalumab è la prima immunoterapia a dimostrare un beneficio significativo di sopravvivenza globale in questo stadio, con il 57% dei pazienti vivi a 3 anni e una riduzione del rischio di morte del 31%”.