Roma, 1 luglio 2021 – Nel 2020, rispetto all’anno precedente, in Italia sono saltati oltre 1 milione e 110mila esami di screening per il carcinoma colon-rettale. In totale sono stati individuati 1.300 casi in meno di tumore e -7.400 adenomi avanzati. Un forte calo di diagnosi, dovuto alla pandemia, e che allarma gli specialisti dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) che lanciano un appello affinché i programmi di screening siano rilanciati e anche ampliati.
Per l’89% degli specialisti l’esame per la ricerca del sangue occulto nelle feci dovrebbe essere esteso fino ai 74 anni (attualmente è previsto per la fascia d’età 50-69 anni). Contro questa forma di cancro è fondamentale lo screening che serve per trovare la diagnosi il prima possibile. Molto importante è anche l’utilizzo del test molecolare che serve per selezionare la terapia per chi ha una malattia avanzata.
Alla malattia l’AIOM dedica il progetto Test Diagnostici nel Tumore del Colon-Retto realizzato grazie al supporto non condizionato di Pierre Fabre. L’obiettivo è fare informazione e cultura a 360° sulla patologia e soprattutto sull’utilizzo di alcuni esami per la personalizzazione delle cure. Prevede una survey condotta tra i soci AIOM, un opuscolo dedicato a pazienti e caregiver, webinar per gli specialisti e attività sui principali social media. I risultati del sondaggio e l’intera iniziativa sono presentati oggi in una conferenza stampa virtuale.
“La neoplasia colpisce ogni anno in Italia più di 43.700 uomini e donne e di questi casi circa 10.000 sono metastatici – afferma Giordano Beretta, Presidente Nazionale AIOM – Dal 2013 ad oggi l’incidenza della malattia è calata del 20% grazie soprattutto ai programmi di screening che consentono la diagnosi precoce. Il Covid-19 può avere compromesso questo buon risultato e quindi ribadiamo, per l’ennesima volta, la necessità di rilanciare le campagne di prevenzione secondaria del cancro. Quello al colon-retto è infatti un tumore molto diffuso e che determina in Italia più di 21mila decessi ogni anno. Inoltre, è una malattia estremamente eterogenea dal punto di vista genetico-molecolare e quindi per sconfiggerla bisogna definire quale sia la caratterizzazione della biologia molecolare di ogni singolo caso. Così possiamo meglio definire le strategie terapeutiche, garantire la miglior diagnosi al paziente e soprattutto somministrare farmaci solo quando sono necessari e utili. Tutto ciò permette risparmi importanti per le casse del sistema sanitario nazionale”.
Dal sondaggio dell’AIOM emerge come nove oncologi su dieci effettuano la valutazione dello stato mutazionale del BRAF V600 prima di intraprendere un trattamento di prima linea contro il carcinoma del colon-retto metastatico. “Tale mutazione risulta presente nel 10% dei pazienti – prosegue Saverio Cinieri, Presidente Eletto AIOM – Può fornire preziose informazioni prognostiche e darci indicazioni sull’evoluzione della malattia. È associata a una prognosi peggiore in quanto il tumore risulta più aggressivo e maggiormente resistente alle principali cure. Alcuni recenti studi scientifici hanno evidenziato l’elevata attività di una combinazione comprendente Cetuximab e Encorafenib nei pazienti con mutazione di B-RAF in progressione dopo una prima linea di trattamento. L’analisi del BRAF dovrebbe quindi essere sempre eseguita nella pratica clinica come fortunatamente evidenzia la nostra survey. Solo, infatti, il 6% degli intervistati sostiene di non svolgere il test per lo più per problematiche di tipo logistico, organizzativo o amministrativo. Più del 70% degli oncologi dichiara poi di lavorare in strutture sanitarie in cui sono attivi laboratori di biologia molecolare/anatomia patologica in grado di eseguire i test molecolari. Questi esami vanno sempre garantiti per tutti i malati e sull’intero territorio nazionale anche sfruttando, dove sono disponibili, i percorsi delle Reti Oncologiche Regionali”.
Il tumore del colon-retto è il secondo più frequente nel nostro Paese dove vivono 513.000 pazienti con questa neoplasia. “Sono uomini e donne prevalentemente con più di sessanta anni e che necessitano di essere sottoposti a trattamenti ed esami per lunghi periodi di tempo – prosegue Beretta – Fondamentale risulta essere il ruolo del medico di medicina generale nell’assistere una così imponente mole di pazienti. Tuttavia, sempre secondo il nostro sondaggio, il 24% degli oncologi giudica scarsa la collaborazione con questa figura professionale. È un aspetto sul quale dobbiamo lavorare andando a sensibilizzare i medici di famiglia su come aiutare l’assistito negli effetti collaterali delle terapie o nei controlli di follow up. La lotta ai tumori deve prevedere una sempre maggiore integrazione tra gli specialisti ospedalieri e la medicina territoriale”.
“Questo deve avvenire anche perché è in crescita il ricorso a farmaci orali anche nel carcinoma colon-rettale metastatico – conclude Cinieri – Si pone così il problema dell’aderenza terapeutica che secondo il 48% degli specialisti viene favorita dalla somministrazione orale. Va però ricordato come il paziente oncologico è spesso fragile, anziano, con delle comorbilità e costretto ad assumere più terapie contemporaneamente. Nella gestione delle possibili interferenze, degli effetti collaterali nonché nella stessa aderenza ai trattamenti il medico di famiglia può e deve avere un ruolo prezioso”.