Tumore alla prostata: la chiave della risposta alla terapia è nel DNA ottenuto da un semplice esame del sangue

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Una variazione genetica è responsabile dell’aumento fino a cinque volte della resistenza contro l’abiraterone, un nuovo farmaco ormonale di recente approvato nella lotta contro il tumore della prostata. La scoperta, che rappresenta il primo passo verso lo sviluppo di un test di laboratorio utilizzabile nella pratica clinica, è il risultato di un ingente lavoro di analisi di DNA del gruppo dell’Institute of Cancer Research (ICR) diretto dal dott. Gerhardt Attard svolto in collaborazione con altri importanti centri in Inghilterra e Italia, tra cui l’Istituto Scientifico Romagnolo per lo Studio e la Cura dei Tumori (IRST) Irccs di Meldola (FC). Lo studio anglo-italiano è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista “Science Translational Medicine”

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Gruppo di patologia Uro-ginecologico IRST Irccs

Meldola (FC), 15 dicembre 2015 – Un semplice prelievo di sangue, unito a sofisticati esami di laboratorio in grado di decifrarne il materiale genetico contenuto, potrà indicare quali siano i migliori trattamenti farmacologici per ogni singolo paziente affetto da tumore alla prostata. La cosiddetta “medicina di precisione” – l’approccio che sta velocemente rivoluzionando la medicina contemporanea – ha raggiunto un altro promettente capitolo nell’evoluzione dei trattamenti in campo oncologico, grazie a uno studio anglo-italiano condotto da ricercatori dell’Institute of Cancer Research (ICR) e Royal Marsden Hospital di Londra, Università di Trento e Istituto Scientifico Romagnolo per lo Studio e la Cura dei Tumori (IRST) Irccs di Meldola (FC), tanto significativo da meritare la copertina del numero di novembre di una delle più prestigiose riviste medico-scientifiche, Science Translational Medicine.

Il tumore alla prostata
Il carcinoma della prostata è la neoplasia più frequente fra gli uomini di età adulta e rappresenta oltre l’11% di tutti i tumori diagnosticati, il 20% per la fascia over 50. Solo in Italia colpisce quasi 36mila uomini ogni anno (un uomo ogni 8 ha la probabilità di ammalarsi di questa neoplasia nella sua vita) e la sua incidenza, in relazione all’aumento dell’età media della popolazione e a cause legate soprattutto a scorretti stili di vita, è in crescita. È stato dimostrato che gli ormoni maschili (androgeni) sono coinvolti direttamente nello sviluppo e nella crescita del carcinoma prostatico, pertanto, oltre ai trattamenti chemioterapici, una delle strategie di cura è l’utilizzo delle terapie ormonali. La sopravvivenza dei pazienti con carcinoma prostatico è attualmente attestata al 91% a 5 anni dalla diagnosi ed è in costante e sensibile progresso. Il principale fattore correlato a questa positiva tendenza è dato dall’anticipazione diagnostica, dalla progressiva diffusione dello screening “spontaneo” e dallo sviluppo di trattamenti sempre più efficaci.

Dal DNA l’indicazione della migliore terapia
Lo studio pubblicato su Science Translational Medicine propone all’attenzione della comunità scientifica una particolare metodica di analisi del DNA plasmatico capace di identificare l’amplificazione/mutazione del recettore per gli androgeni causa di resistenza all’abiraterone. Tale test consente di individuare precocemente i pazienti responsivi o meno alla terapia, in modo da consentire tempestivi e validi percorsi terapeutici alternativi.

L’abiraterone, identificato e messo a punto proprio all’Institute of Cancer Research dal dott. Gehrardt Attard agli inizi degli anni duemila, è oggi un trattamento di riferimento negli uomini con un tumore avanzato alla prostata ma, sebbene sia attivo nella maggior parte dei pazienti, risulta inefficace in una percentuale comunque significativa. Per questo motivo i ricercatori inglesi e italiani si sono impegnati per individuare un marker in grado di predire con anticipo la risposta all’abiraterone.

Lo studio ha evidenziato che gli uomini che presentano una specifica mutazione o un aumento del numero di copie del gene recettore per androgeni hanno una riduzione dei livelli del PSA (ovvero l’Antigene Prostatico Specifico) in proporzione minore di 4.9 e 7.8 volte rispetto ai pazienti senza amplificazione del recettore per androgeni e mutazioni. Ulteriori elementi a supporto del ruolo del gene del recettore per androgeni sono giunti dall’analisi dell’evoluzione nel tempo del patrimonio genetico dei pazienti: nel 15% degli uomini che non presentavano alcuna alterazione del gene del recettore per gli androgeni prima del trattamento, infatti, quando la mutazione si è manifestata, il farmaco ha perso la propria efficacia, fenomeno che, grazie alle analisi, è stato individuato diversi mesi prima della comparsa dei sintomi.

Lo studio ha confermato le grandi potenzialità delle analisi del DNA tumorale circolante nel flusso sanguigno. In particolare, queste indagini permettono di ottenere un’immagine complessiva del perché e del come il tumore stia progredendo nel corpo, rispetto ad una biopsia che si focalizza esclusivamente sull’area testata.

In futuro un test per la pratica clinica
I ricercatori dell’Institute of Cancer Research (ICR) – Royal Marsden Hospital, IRST Irccs e i bioinformatici del’Università di Trento hanno analizzato i campioni di sangue utilizzando tecniche di sequenziamento del DNA all’avanguardia. Circa un terzo dei casi affetti da tumore della prostata dello studio provenivano dall’IRST. Si tratta di pazienti seguiti dal Gruppo di Patologia Uro-ginecologico guidato dal dr. Ugo De Giorgi e dal Laboratorio di Bioscienze settore Urologia preclinica condotto dalla dr.ssa Valentina Casadio, sotto la Direzione scientifica del prof. Dino Amadori). I campioni italiani sono stati poi analizzati nei laboratori di Londra, in collaborazione con i ricercatori inglesi e i bioinformatici di Trento, dalla dott.ssa Vincenza Conteduca, medico oncologo IRST, vincitrice della Borsa di studio della ricerca traslazionale della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO) proprio per questo progetto di ricerca teso all’identificazione di fattori prognostici e predittivi nei pazienti con tumore della prostata.

Le prossime fasi del progetto consisteranno sia nel validare l’ipotesi per cui individui risultati positivi al test sulla mutazione o iper-espressione del gene per il recettore per gli androgeni, non trarrebbero beneficio da determinate terapie consentendo quindi la corretta pianificazione del trattamento sia nello studiare sul DNA plasmatico ulteriori alterazioni genetiche coinvolte nella crescita e progressione tumorale. Seguirà poi l’implementazione tecnologica del test, così da creare una piattaforma utilizzabile nei migliori centri oncologici, rendendo questa metodica non invasiva e la tecnologia ad essa collegata accessibile ad un più ampio numero di pazienti con carcinoma prostatico.

“Prevediamo – sottolinea Ugo De Giorgi, Responsabile del Gruppo di patologia Uro-ginecologico – il potenziamento dello studio dei biomarcatori del tumore prostatico presso IRST; attraverso l’analisi di un semplice prelievo di sangue, saremo in grado di esaminare il DNA rilasciato nella circolazione sanguigna dalle cellule tumorali prostatiche. Con la biopsia liquida, come viene chiamato tale test, è possibile monitorare l’andamento della malattia durante il trattamento, individuando precocemente il momento in cui il tumore acquisisce meccanismi di resistenza alla terapia e, quindi, anche di capire quando una terapia dovrebbe esser sospesa”.

Lo studio è stato finanziato dalle organizzazioni Cancer Research UK, Prostate Cancer UK, National Istitute for Health Research (NIHR) Biomedical Research Center presso il Royal Marsden e l’Institute of Cancer Research (ICR), Università di Trento e IRST IRCCS. Fondamentale contributo è giunto dalle sovvenzioni raccolte negli anni dalla campagna di mobilitazione e sensibilizzazione contro i tumori maschili, Movember.

fonte: ufficio stampa

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