Intervista alla dott.ssa Alessandra Cassano, Dirigente Medico, UOC Oncologia Medica Fondazione Policlinico Universitario “A. Gemelli” di Roma
Trastuzumab è stato uno dei primi anticorpi monoclonali approvati per il trattamento del tumore al seno ed è attualmente lo standard of care in questa neoplasia, la più frequente in assoluto per incidenza nella popolazione femminile. Che impatto hanno avuto questi farmaci, e trastuzumab in particolare, nella storia di questo tumore?
Trastuzumab rappresenta un esempio eccellente di quella che in oncologia viene definita terapia a bersaglio molecolare e ha segnato una vera e propria rivoluzione nel trattamento del tumore al seno. In passato il maggior esempio di terapia a bersaglio molecolare era la terapia ormonale, ovvero la terapia diretta ai recettori per gli estrogeni ed il progesterone.
Trastuzumab è stato progettato a partire dalla presenza di uno specifico bersaglio molecolare: il recettore HER2 presente sulla superficie delle cellule maligne del tumore mammario. HER2 è iperespresso in circa il 25% dei tumori al seno.
La scoperta di HER2 ha comportato un cambiamento radicale nel trattamento e nella prognosi di questa malattia. Grazie all’elevatissima attività antitumorale, trastuzumab ha letteralmente rivoluzionato l’approccio a questo tumore, consentendo un controllo senza precedenti della malattia.
Inizialmente, come sempre in oncologia, il farmaco è stato testato e valutato in donne con malattia metastatica. Solo dopo che ne era stata comprovata la grande efficacia in questo setting terapeutico, trastuzumab è stato utilizzato anche nell’ambito della terapia adiuvante, tecnicamente identificata come terapia preventiva, somministrata alle donne radicalmente operate di tumore della mammella.
Grazie a questo farmaco, l’aspettativa di vita di queste pazienti è decisamente migliorata ed è ormai paragonabile a quella delle donne il cui tumore della mammella ha caratteristiche molto più favorevoli.
Quali difficoltà comporta in generale la somministrazione per endovena in termini di gestione dei tempi e possibili complicanze?
La somministrazione di trastuzumab si svolge in un arco prolungato di tempo. Nella malattia metastatica il farmaco viene somministrato per lunghi periodi perché può garantire un persistente controllo di malattia. Nelle donne operate in cui la terapia viene fatta a scopo preventivo, la somministrazione avviene in un ciclo che prevede 18 somministrazioni con cadenza trisettimanale (una volta ogni 3 settimane) per un totale di 12 mesi.
Questo primo, importante parametro ci consente di affermare che si tratta di una terapia che coinvolge un lungo periodo della vita delle pazienti, con un’estensione temporale estremamente significativa. Per quanto riguarda le modalità di somministrazione, trattandosi di una terapia volta a ‘saturare’, come si dice tecnicamente, il recettore occupandone tutte le postazioni, deve essere inizialmente somministrata con una dose di carico rilasciata in tempi particolarmente lunghi, un paio di ore circa; dalla seconda somministrazione in poi il farmaco viene somministrato a un dosaggio lievemente inferiore e, avendone testato la sicurezza, è erogato in circa 45 minuti. Questi 45 minuti di terapia sono preceduti da una premedicazione, assolutamente indispensabile nella somministrazione per endovena in quanto garantisce che non si verifichino sgradevoli effetti collaterali.
In linea di massima, la paziente che deve sottoporsi a questa terapia trascorre, soltanto per l’infusione, almeno un’ora e mezzo nel day-hospital, luogo sempre molto affollato. A questi 90 minuti si devono aggiungere i tempi necessari per raggiungere l’ospedale e tornare a casa o rientrare al lavoro, i tempi legati all’attesa e al disbrigo delle pratiche amministrative che ogni accesso in day-hospital richiede.
Inoltre trastuzumab è un anticorpo monoclonale e, come tale, richiede un monitoraggio cardiologico periodico, in quanto in associazione alla chemioterapia può comportare, con meccanismi completamente diversi, fenomeni di tossicità cardiologica comunque reversibili ma che rendono necessario il controllo di ulteriori parametri.
Quali sono i benefici della somministrazione sottocutanea di trastuzumab come alternativa a quella per endovena? Quali evidenze abbiamo in termini organizzativi nella gestione delle visite e del DH, efficacia e sicurezza?
La formulazione sottocutanea degli anticorpi monoclonali si basa su analisi di farmacocinetica che suggeriscono come questa modalità sia la migliore via di somministrazione. Le osservazioni elaborate dai farmacologi sono state il presupposto scientifico per progettare questa diversa modalità di somministrazione che si è concretizzata grazie alla scoperta dell’enzima ialuronidasi. In seguito, si sono potuti valutare anche altri aspetti, oltre a quelli prettamente farmacologici e, a parità di efficacia terapeutica, sono stati evidenziati gli enormi vantaggi di tale somministrazione.
In primo luogo, il vantaggio derivato dalla possibilità di somministrare il farmaco a una dose “flat”, vale a dire una dose uguale per tutte le donne, da quelle con peso corporeo tra i 50 e i 60 chili fino a quelle in sovrappeso o francamente obese. La possibilità di somministrare la stessa dose di farmaco per tutte le pazienti, azzera i margini di errore, un problema molto rilevante in questo setting terapeutico, e rende estremamente maneggevole la terapia.
Non c’è bisogno di frazionare le dosi, né di fare proporzioni o diluizioni. Infine, la modalità di somministrazione sottocutanea comporta una durata complessiva della terapia di 5 minuti. Il diverso assorbimento del farmaco, per azione dell’enzima ialuronidasi, rende non più necessari le premedicazioni, il cortisone, le flebo, i deflussori e gli aghi, né la poltrona del day-hospital. Tutto questo si associa a un’elevata efficacia e a un profilo favorevole in termini di tollerabilità.
Dal punto di vista organizzativo, la somministrazione per via sottocutanea incide sullo scenario della cura, in quanto offre l’opportunità di disimpegnare in misura rilevante le sedi consuete di somministrazione, rappresentate dalle poltrone, e il personale dedicato, resi entrambi disponibili per altre terapie inevitabilmente più lunghe. Le terapie sottocutanee possono essere tranquillamente eseguite in spazi alternativi come i semplici ambulatori, dove in tempi molto contenuti viene assistito un gran numero di pazienti, senza richiedere un’organizzazione complessa.
In definitiva, la modalità sottocutanea di somministrazione maneggevole, agile e senza premedicazione, è una risorsa che permette di ridurre i costi di somministrazione dei farmaci, i costi per il personale dedicato e, in termini di farmacoeconomia, i costi legati alle assenze dal lavoro, perché questa formulazione consente alle pazienti di conciliare il momento della cura con l’attività lavorativa e la routine quotidiana.