Lo dimostrano i dati raccolti in 10 anni da 78 centri in tutto il mondo su 4732 donne colpite entro i 40 anni da un tumore alla mammella collegato alla mutazione BRCA, la stessa di Angelina Jolie: entro 10 anni dalla diagnosi e dopo aver concluso il percorso di cura una su cinque ha una gravidanza. La ricerca, che è stata coordinata dall’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova e ha ricevuto il supporto dell’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (AIRC), ha dimostrato che in queste pazienti non c’è un maggior pericolo di complicazioni in gravidanza o di rischi per i nascituri, né aumenta la probabilità che il tumore possa recidivare. Lo studio è il più ampio mai condotto in giovani donne con carcinoma mammario ereditario e supera le preoccupazioni del passato, ma ancora oggi presenti tra molti oncologi, quando a molte pazienti con ‘mutazione Jolie’ vengono, sconsigliate di intraprendere una gravidanza dopo il completamento delle cure
Genova, 7 dicembre 2023 – Via libera a un figlio dopo il tumore al seno, anche nelle pazienti più giovani con un carcinoma mammario ereditario correlato alla presenza di mutazioni del gene BRCA: il 12% delle oltre 11.000 giovani donne in età fertile che ogni anno in Italia sviluppano un tumore al seno.
In queste donne con ‘mutazione Jolie’, la stessa che ha portato Angelina Jolie a sottoporsi a una mastectomia preventiva e che predispone allo sviluppo di tumori al seno e all’ovaio, la gravidanza al termine delle cure oncologiche era finora sconsigliata, da una parte perché si temeva comportasse un maggior rischio di ricomparsa del tumore, dall’altra perché si ipotizzavano possibili pericoli per il bimbo a causa dell’esposizione a precedenti terapie oncologiche inclusa la chemioterapia.
Paure infondate, come dimostra il più ampio studio internazionale condotto per verificare gli esiti delle gravidanze in giovani donne con tumore al seno e mutazioni BRCA, coordinato dall’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova e realizzato con il supporto di AIRC: i dati, pubblicati oggi sulla prestigiosa rivista JAMA e presentati in contemporanea durante il San Antonio Breast Cancer Symposium, il più importante congresso mondiale sul carcinoma mammario, dimostrano infatti che a 10 anni dalla diagnosi una paziente su cinque ha avuto una gravidanza senza che si siano registrate complicanze più frequenti durante l’attesa o maggiori pericoli per i nascituri, né un incremento della probabilità di ricomparsa del tumore.
“Questi dati dimostrano che, dopo un trattamento appropriato e un periodo di osservazione sufficiente, la gravidanza non dovrebbe essere più sconsigliata a donne giovani con un tumore al seno e mutazione BRCA, perché è possibile e sicura. Poter coltivare la speranza di costruire una famiglia in futuro, dopo il tumore, è di grande aiuto per le pazienti perché consente loro di accettare meglio la malattia e le terapie: la consapevolezza di un domani possibile ha un ruolo significativo nel processo di guarigione”, osserva Matteo Lambertini, Professore Associato e Oncologo Medico presso la Clinica di Oncologia Medica dell’Università di Genova – IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova, coordinatore della ricerca assieme a Eva Blondeaux, Oncologo Medico presso l’Unità di Epidemiologia Clinica dell’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova.
Il numero dei casi di giovani donne colpite da tumore della mammella prima di aver avuto un figlio è in aumento, complice anche la tendenza di ricercare la prima gravidanza in età sempre più avanzata; inoltre, le cure oncologiche possono portare a una riduzione della fertilità e della capacità di concepire. La maternità rappresenta quindi un argomento di cruciale importanza per le oltre 11.000 giovani donne in età fertile che ogni anno in Italia sviluppano un tumore al seno, di cui oltre il 12% risulta essere portatrice della mutazione a carico del gene BRCA.
Lo studio
Lo studio pubblicato sulla prestigiosa rivista americana di medicina JAMA è un’indagine internazionale retrospettiva a cui hanno partecipato 78 centri di tutto il mondo, inclusi centri oncologici e università molto importanti. Per la ricerca sono stati raccolti i dati di 4732 donne che hanno ricevuto entro i 40 anni una diagnosi di carcinoma mammario con mutazione BRCA; dopo il completamento delle cure ed entro 10 anni dalla diagnosi di tumore, una su cinque (22%) ha avuto una gravidanza, con un tempo medio dalla diagnosi al concepimento di 3 anni e mezzo.
Delle 517 donne che hanno portato a termine la gravidanza, pari al 79.7% del totale, il 91% ha avuto un parto a termine e il 10% ha avuto gemelli. Non si sono osservati tassi più elevati dell’atteso nella popolazione generale di complicazioni in gravidanza o di rischio di malformazioni fetali, né differenze significative nella sopravvivenza libera da malattia tra le pazienti che hanno avuto oppure no una gravidanza al termine delle cure oncologiche: avere un figlio non aumenta perciò la probabilità di successive recidive del tumore.
“In passato la gravidanza veniva sconsigliata a queste donne – spiega Matteo Lambertini – per la preoccupazione da un lato che gli “ormoni della gravidanza” potessero favorire la ricomparsa del carcinoma mammario, essendo un tumore sensibile agli ormoni, dall’altro che una pregressa esposizione a trattamenti oncologici, tra cui la chemioterapia, potesse avere conseguenze negative sulla prole. Inoltre, per scongiurare lo sviluppo di cancro ovarico, queste pazienti sono candidate a ricevere un intervento preventivo di rimozione delle ovaie e delle tube in età molto giovane, intorno ai 40 anni, e ciò riduce quindi ulteriormente la loro finestra riproduttiva. A questo si aggiunge la paura di trasmettere la mutazione ai propri figli, che influenza il desiderio di maternità in molte di queste donne”.
“Tutti questi elementi ‘rubano il futuro’ alle pazienti giovani con tumore al seno ereditario, ma i nuovi dati segnano un deciso cambio di passo – sottolinea Lambertini – La gravidanza non dovrebbe più essere sconsigliata in donne portatrici della “mutazione Jolie” che desiderano avere un figlio dopo aver eseguito un adeguato trattamento per il cancro al seno e dopo che sia trascorso un appropriato periodo di osservazione dalla fine della terapia: anzi, i dati mostrano che la sopravvivenza globale può anche migliorare in alcuni casi, nelle donne che realizzano il loro desiderio di famiglia”, conclude Lambertini.