La paziente con fibrosi cistica non avrebbe potuto sostenere l’intubazione e quindi l’anestesia generale. L’operazione al Policlinico di Sant’Orsola possibile grazie alla collaborazione dell’equipe trapianti e anestesia
Bologna, 3 luglio 2023 – Il trapianto era necessario ma l’anestesia generale era impossibile da sostenere a causa di altre patologie concomitanti all’insufficienza renale. Rifiutata da un altro centro italiano, è stata operata al Sant’Orsola per un trapianto di rene da donatrice vivente, sua mamma Rosaria. È la storia complessa ma a lieto fine di Veronica, 25 anni, la prima paziente operata di trapianto in anestesia loco-regionale all’IRCCS.
“Veronica soffre di fibrosi cistica e il suo quadro clinico è complessivamente difficile, contraddistinto da un’insufficienza respiratoria che rendeva impossibile anche solo ipotizzare l’anestesia generale: i rischi erano troppo alti. – spiega il prof. Gaetano La Manna, Direttore Nefrologia, dialisi e trapianto dell’IRCCS Policlinico di Sant’Orsola – Abbiamo scelto di proporle un trapianto con anestesia loco-regionale dopo un lungo confronto multidisciplinare. Siamo orgogliosi di averle offerto questa opportunità, perché nonostante la complessità dell’intervento abbiamo evitato a Veronica di continuare la dialisi e numerose altre complicazioni. Poter offrire una soluzione terapeutica anche alle persone più fragili come Veronica, rappresenta per la medicina una sfida culturale e scientifica, ma anche e soprattutto un grande gesto di sensibilità umana e professionale a cui la comunità scientifica non deve mai sottrarsi”.
“Intubare Veronica era impossibile, c’era il rischio di una tracheotomia o serie complicanze respiratorie. Oltre alla valutazione clinica in gruppo, c’è un aspetto che mi ha dato la certezza che potevamo darle questa opportunità: la sua motivazione e forza. – racconta Antonio Siniscalchi, Direttore Terapia intensiva post chirurgica dell’IRCCS Policlinico di Sant’Orsola – Gestire un paziente in anestesia loco-regionale, sia prima che durante l’intervento, è complesso: prima bisogna scegliere la terapia più specifica rispetto al caso, durante bisogna supportare la paziente anche dal punto di vista emotivo e questo richiede, se possibile, ancora più attenzione. Lei è stata brava, ha collaborato e ha tenuto duro anche dal punto di vista psicologico. Ha versato una sola lacrima, ma di gioia, quando è entrato in sala il rene della sua mamma e ci ha chiesto di farglielo vedere. L’abbiamo fatto”.
Le nuove frontiere
Il trapianto in anestesia generale risulta ancora oggi la scelta principale e quella più sicura, in riferimento al rapporto tra benefici e rischi della procedura. Effettuare un trapianto in anestesia loco-regionale, infatti, presuppone numerose difficoltà. Prime tra tutte la gestione anestesiologica del caso e la gestione del paziente da sveglio in sala operatoria.
Da svegli, ad esempio, produciamo anche inconsciamente una serie di contrazioni muscolari che rendono più complicato al chirurgo operare. Inoltre, per un paziente affrontare un’operazione così lunga da svegli può essere difficile dal punto di vista psicologico ed emotivo.
Avere realizzato questo primo intervento, comunque, apre a nuove importanti frontiere. Prima di tutto la possibilità di valutare e offrire questa opportunità a pazienti che, come in questo caso, altrimenti non potrebbero accedere al trapianto. Significa accogliere e dare alternative terapeutiche a un sempre maggior numero di pazienti con più patologie. E soprattutto nel caso di trapianti di rene, questo significa avere un fortissimo impatto sulla vita dei pazienti che sarebbero altrimenti costretti a dialisi.
Il rene della mamma: i benefici di un trapianto da donatore vivente
Il trapianto da donatore o donatrice vivente rappresenta la soluzione migliore possibile perché consente al ricevente di avere programmata l’operazione e di non attendere un donatore compatibile. In questo caso, infatti, madre e figlia sono state operate la stessa mattina. Inoltre l’organo funzionerà mediamente meglio e più a lungo rispetto a quello trapiantato da donatore deceduto. Un risultato importante dovuto anche alla capacità dell’equipe di Nefrologia, dialisi e trapianto di preservare la salute del donatore al 100% aumentando l’efficacia della procedura e questo tipo di donazione.
“Accogliere e curare valutando anche la possibilità più complessa e difficile, senza discriminazioni, puntando confronto tra specialisti e professionalità diverse per mettere in gioco tutte le possibilità terapeutiche e chirurgiche, anche quelle mai proposte prima. Le cose al Sant’Orsola le facciamo così – commenta Chiara Gibertoni, Direttore Generale dell’IRCCS Policlinico di Sant’Orsola – Quando ci si trova di fronte a casi così complessi è il gioco di squadra che fa la differenza. Inoltre, quando si parla di trapianti abbiamo anche dalla nostra l’esperienza e la ricerca che in questo ambito ci ha consentito di diventare un IRCCS”.
“Una straordinaria vicenda in cui si intrecciano la competenza dei nostri professionisti, la determinazione di una ragazza coraggiosa e l’amore di una mamma, che con il dono del rene ha consentito alla figlia di recuperare una qualità di vita fino a prima impossibile – commenta Raffaele Donini, Assessore alle Politiche per la Salute della Regione Emilia Romagna – Una nuova conferma dei risultati che una sanità pubblica e universalistica raggiunge quotidianamente grazie ai nostri professionisti, di cui siamo molto orgogliosi. A Veronica e alla mamma Rosaria l’abbraccio della nostra comunità”.
L’Unità Operativa di Nefrologia, dialisi e trapianto
Solo nel 2022 ha effettuato 121 trapianti di rene, di cui 39 da donatore vivente. Nel 2023, ad oggi, sono stati già effettuati 54 trapianti di rene, 17 da donatore vivente. In un anno l’unità operativa effettua circa 300 visite per iscrizione in lista d’attesa, tra nefrologiche, chirurgiche e anestesiologiche.
Dei circa 490 pazienti iscritti oggi in lista d’attesa, il 49% proviene da fuori regione. Un dato che dimostra concretamente come il centro dell’IRCCS sia diventato nel tempo un punto di riferimento in questo ambito a livello non solo regionale ma anche nazionale.
L’Unità Operativa di Terapia Intensiva post-chirurgica
È il punto di riferimento al Sant’Orsola per la terapia intensiva dei pazienti della chirurgia addominale e epatobiliare, dei trapiantati di fegato e rene e centro hub regionale dell’insufficienza epatica. Inoltre, si occupa della terapia intensiva di tutti i pazienti provenienti da tutte le chirurgie complesse eseguite all’IRCSS. Ogni anno si occupa del trattamento post chirurgico di oltre 1.000 pazienti.