Tiroide, morbo di Basedow: nel 25% dei pazienti colpisce anche gli occhi

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Cortisonici gold standard della terapia, ma speranze dai nuovi farmaci biologici. I nuovi farmaci che agiscono sul recettore dell’IGF-1 hanno effetti positivi sui sintomi oculari

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Milano, 8 luglio 2017 – Hanno la tiroide che ‘funziona troppo’ e possono sviluppare il caratteristico ‘gozzo’: sono i pazienti con morbo di Basedow-Graves che colpisce tra l’1,8% e il 3% della popolazione. A seconda dei paesi si tratta di una forma di ipertiroidismo di cui rappresenta tra il 60 e l’80% dei casi.

La malattia riconosce una origine autoimmune la cui causa ultima sono anticorpi diretti contro il recettore dei TSH. Essi stimolano un esagerata produzione di ormoni tiroidei che mette sotto stress la ghiandola costretta ad un superlavoro e di conseguenza l’intero organismo.

Altra particolarità di questa condizione è il suo comportamento ‘camaleontico’ in quanto può virare e trasformarsi in tiroidite di Hashimoto e ipotiroidismo con relative problematiche di monitoraggio e terapia. La malattia ha uno spiccato ‘gender profile’ con il sesso femminile più frequentemente colpito (1,5 uomini ogni 10 donne). Un particolare focus è stato fatto al 6° CUEM che si è svolto all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano.

L’esordio è talora insidioso, i sintomi sfumati e poco specifici e può scatenarsi dopo periodo di stress emotivo. Nelle forme conclamate sono presenti nervosismo, insonnia, tremori, palpitazioni, stanchezza, aumento dell’appetito con perdita di peso e, nelle donne, alterazioni del ciclo.

Talvolta la diagnosi viene chiarita al comparire dei sintomi oculari con il caratteristico esoftalmo (l’aumento del volume dei muscoli extra-oculari e/o del tessuto adiposo posteriore al bulbo oculare e l’incremento della tensione e del gonfiore delle orbite). Gli occhi quindi sporgono all’infuori diventando più fissi e alterando l’espressione del volto.

“L’interessamento oculare (chiamato ‘orbitopatia basedowiana’) interessa il 25% dei pazienti con Basedow-Graves ma alcuni studi che si avvalgono di metodiche strumentali sofisticate parlano di percentuali fino al 70-80% – spiega il prof. Andrea Giustina, Full Endocrinology Professor all’Università Vita-Salute San Raffaele, Presidente del CUEM e Presidente Eletto della Società Europea di Endocrinologia – Non si tratta di una condizione estetica, i pazienti che non riescono a chiudere completamente gli occhi di notte vanno incontro a secchezza che può favorire infezioni della cornea. La pressione cronica sul nervo ottico inoltre può determinare difetti del campo visivo che in alcuni casi possono evolvere in cecità. In presenza di oftalmopatia lieve è opportuno primariamente rimuovere i fattori di rischio come il fumo”.

“Nelle forme più gravi le linee guida del gruppo europeo EUGOGO suggeriscono un protocollo con glucocorticoidi e farmaci immunosoppressivi – sottolinea il prof. Luigi Bartalena Professore di Endocrinologia all’Università dell’Insubria e Direttore della Endocrinologia dell’Ospedale di Circolo a Varese – Ma le maggiori speranze sono riposte nei nuovi farmaci biologici: si attendono i risultati del trial sull’utilizzo del tocilizumab che ha come target il recettore del interleuchina 6”.

Mentre i risultati molto promettenti sono venuti dallo studio da poco pubblicato sul New England Journal of Medicine che ha valutato gli effetti del anticorpo monoclonale teprotumumab diretto contro il recettore dell’IGF-1. La ricerca ha svelato risultati sorprendenti proprio sull’ esoftalmo (che notoriamente risponde poco ai trattamenti immunosoppressivi).

“L’ orbitopatia basedowiana – aggiunge il prof. Giustina “infatti rimane una condizione non sempre risolvibile non essendo scarsamente influenzata dalla terapia tireostatica ed anche non sempre responsiva ai glucocorticoidi”.

Per questo si guarda con interesse a nuove strategie terapeutiche. Nello studio multicentrico in doppio cieco con placebo sono stati valutati 88 pazienti assegnati casualmente al placebo o al trattamento con teprotumumab somministrato per via endovenosa una volta ogni tre settimane. L’obiettivo primario era valutarne gli effetti sulle complicazioni oculari con una riduzione di almeno due punti su una scala da 0 a 7 (dove un punteggio superiore a 3 indica una oftalmopatia-tiroide correlata attiva). A 6 settimane di trattamento il 43% dei volontari assegnati al principio attivo (il farmaco biologico) aveva raggiunto l’obiettivo prefissato, contro il 4% di quelli assegnati al gruppo del placebo. Questi risultati dovranno naturalmente essere confermati da studi che mettano a confronto il nuovo farmaco biologico con l’attuale terapia di prima linea (i glucocorticoidi per via endovenosa) dell’orbitopatia basedowiana.

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