Napoli, 14 giugno 2019 – La Regione Campania, negli ultimi mesi, ha concretizzato il proprio impegno rispetto alla diagnosi precoce e riduzione del rischio del tumore (mammella e ovaio) in soggetti con predisposizione genetica, predisponendo, con la partecipazione di associazioni civiche e di pazienti, anche il PDTA dei Tumori Eredo-Familiari.
“Apprezziamo l’impegno della Regione che è passata dall’avere percorsi frutto di singole iniziative aziendali ad un PDTA uniforme su tutto il territorio e che, in questo caso, si occuperà non solo dei pazienti ma di tutta la sua famiglia. Ora però è necessario vigilare sulla concreta applicazione puntando a verifiche programmate mediante Audit durante le fasi del percorso”, ha dichiarato Anna Lisa Mandorino, vice segretaria generale di Cittadinanzattiva.
La via da seguire per identificare le donne sane portatrici di variante BRCA passa attraverso il potenziamento del programma di screening mammografico e l’allargamento del test BRCA ai familiari del paziente mentre, per definire le migliori strategie terapeutiche, il test dovrebbe essere effettuato su tutte le pazienti alle quali è stato diagnosticato un tumore all’ovaio, come previsto dalle Raccomandazioni delle Società Scientifiche.
Il test è l’analisi di un campione biologico (sangue o tessuto tumorale) che permette di esaminare i geni BRCA1 e BRCA2, associati alla trasmissione di una predisposizione ereditaria dei tumori della mammella e dell’ovaio. Nel caso sia presente l’alterazione di uno o di entrambi i geni, non si ‘eredita’ il tumore, ma il rischio di svilupparlo.
Il nodo da sciogliere riguarda le persone sane identificate come portatrici di variante BRCA: queste devono poter contare sull’offerta gratuita delle strategie per gestire e ridurre l’alto rischio genetico ed è fondamentale impostare programmi di sorveglianza attiva o di chirurgia di riduzione del rischio, prevedendo l’esenzione del ticket per le visite/esami consigliati e una specifica tariffa per gli interventi chirurgici.
“Bene l’attenzione rivolta dalla Regione Campania alle persone ad alto rischio ereditario ma è necessario coinvolgere ulteriormente gli specialisti dei centri e i medici di medicina generale. Senza dubbio un aiuto può e deve arrivare dalla piattaforma informatica della rete oncologica campana (ROC). Considerato che l’interpretazione del significato delle varianti BRCA necessita di un alto grado di esperienza, è opportuno individuare una rete di laboratori che risponda a specifici requisiti e ai controlli di qualità europei. L’esito corretto del test BRCA fa scattare una presa in carico allargata non solo al singolo ma all’intera famiglia e, se questa sarà garantita e gratuita, il test potrà considerarsi un’opportunità”, ha affermato Lorenzo Latella, segretario regionale di Cittadinanzattiva Campania.
Sono queste le indicazioni emerse oggi durante l’evento di presentazione dei dati regionali dell’Indagine civica: “Test genetici: tra prevenzione e diritto alle cure. Focus Test BRCA”, promossa da Cittadinanzattiva.
L’indagine ha interessato sei strutture della Campania e rilevato, attraverso i responsabili dei centri, aspetti peculiari dell’organizzazione dei servizi e del percorso prima e dopo l’erogazione del test BRCA.
“Le criticità evidenziate dall’indagine saranno prese in considerazione e siamo già al lavoro e proseguiremo su questa strada per superarle secondo le indicazioni suggerite da Cittadinanzattiva”, ha assicurato Antonella Guida della Direzione generale Tutela della salute della Regione Campania, presente all’incontro di oggi.
I risultati dell’indagine regionale
I soggetti più frequentemente sottoposti al test BRCA hanno tra i 36 e i 49 anni (50%). Ogni centro esegue mediamente 50,3 test a scopo diagnostico e 18,5 per l’indirizzo terapeutico. Ai familiari di persone risultate positive al test diagnostico viene proposto il test nell’83% delle situazioni; lo stesso è esteso anche ai familiari “molto di frequente” in un caso su due. A richiederlo è l’oncologo (100%), seguito dal ginecologo con competenze oncologiche nel 50% e dal genetista medico nel 33%.
Nelle diverse fasi che potrebbero condurre ad una diagnosi clinica di tumore ereditario, un centro su tre dichiara di non agire in un contesto multidisciplinare, inoltre all’interno dell’équipe in un caso su due è assente il case manager.
La consulenza genetica oncologica è offerta dal 50% dei centri e, di questi, il 100% garantisce la presa in carico completa della persona fin dalla fase pre-test. C’è da lavorare sugli aspetti collegati all’eventuale risultato positivo del test BRCA, poiché il 33% dei centri non prevede l’offerta del supporto psicologico.
Presa in carico e gestione del rischio
In tutti i centri sono attive misure di sorveglianza clinica e strumentale secondo le linee guida regionali, nazionali o internazionali e in multidisciplinarietà ma alla domanda sulla presenza di un percorso per la gestione di soggetti con predisposizione genetica alla sindrome dei tumori della mammella e dell’ovaio, è l’83% dei centri a rispondere positivamente con un 17% che non prevede una presa in carico delle persone risultate positive al test BRCA.
Il dato è orientato verso un miglioramento grazie al recente PDTA sui Tumori eredo-familiari. I controlli e le visite più frequenti della sorveglianza attiva sono completamente a carico della persona sana; le persone sono informate sui costi delle opzioni preventive nell’83% dei casi. Per le persone sane con un alto rischio genetico non risulta l’esenzione per le visite e le prestazioni diagnostiche (es. D99) e uno specifico DRG per chirurgia di riduzione del rischio.
Laboratori
Il 33% dei centri possiede un laboratorio interno alla struttura; nel 50% si avvalgono invece di laboratorio esterno con sede o nella stessa provincia o nella stessa regione; nel 75% delle situazioni si tratta di un laboratorio privato convenzionato.
I protocolli utilizzati dal laboratorio descrivono come suddividere gli spazi in modo da evitare contaminazioni tra campioni solamente nel 60% dei casi e indicano i “QC Point” per evitare scambi di campioni in 2 casi su 5 (40%). Solo il 40% dei laboratori procede ad una raccolta sistematica e centralizzata delle varianti BRCA osservate, al fine di contribuire alla miglior classificazione delle stesse e ciò non aiuta a ridurre gli errori legati ai limiti delle conoscenze attuali.
Tempi di attesa per il cittadino
Circa il 67% delle persone, alle quali è stato diagnosticato il tumore (mammella o ovaio), accede al test BRCA 7 giorni dopo la richiesta, 1 su 3 in un mese. I soggetti “sani” accedono al test in 7 giorni in misura maggiore (83%) e la restante fetta (17%) attende un mese.
Sia per le persone già con diagnosi di tumore che per i soggetti ‘sani’, la refertazione, in un caso su due, avviene entro 1 mese: in un caso su tre occorrono al massimo due mesi. Il risultato del test, per entrambe le tipologie di pazienti, viene consegnato, in un caso su due, entro qualche giorno, in uno su tre entro due settimane e nel 17% entro un mese.
Consenso informato e cura della riservatezza
L’83% dei centri intervistati utilizza un protocollo di comunicazione e raccolta di consenso scritto prima di sottoporre la persona al test BRCA; il consenso è formulato con più che discreta attenzione nei contenuti. Nel 17%, tuttavia, tale procedura non risulta essere la norma.
Formazione professionale
Infine, si evidenzia un rilevante impegno nella formazione professionale e nell’aggiornamento: negli ultimi due anni, in 4 centri su 5 (80%) sono stati realizzati corsi di formazione per professionisti che richiedono il test del BRCA, sia sugli aspetti etici legati al test sia su tematiche di genetica oncologica più generali.
All’iniziativa hanno partecipato associazioni di pazienti (ABRCAdaBRa, ACT0 ONLUS, Europa Donna), Società Scientifiche (AIOM, CIPOMO, SIAPEC, SIGU, SIPO) e un PANEL di esperti della materia.