a cura di Paolo Malacarne – Anestesia e Rianimazione ospedale Cisanello Pisa
Roma, 1 ottobre 2015 – Di fronte alla porta d’ingresso di molte Terapie Intensive si leggono ancora oggi cartelli che indicano il rischio d’infezione come motivazione della limitazione all’accesso di familiari e amici dei malati degenti e della necessità di una accurata “vestizione” comprendente camice, sovra scarpe, mascherina e cappellino. Questa motivazione, non sostenuta da nessun lavoro scientifico, parte dall’idea che il visitatore sia una sorta di “impollinatore” che porta in Terapia Intensiva i suoi batteri e lì dentro li sparge a “destra e a manca” sui malati degenti, provocando infezioni.
Per smentire questa “bufala”, è sufficiente studiare, tramite l’esecuzione di un tampone fatto sulla pelle delle mani e nelle narici (sedi abituali di batteri in tutti noi) quali sono i batteri presenti nei visitatori prima del loro ingresso in Terapia Intensiva e confrontarli con quelli che determinano infezioni nosocomiali nei malati degenti: chi ha fatto questo studio ha documentato che si tratta di batteri completamente diversi e in nessun caso i batteri che hanno determinato infezioni nei malati erano presenti sui visitatori al momento del loro ingresso in Terapia Intensiva.
C’è dunque una sola antica pratica che deve essere chiesta ai visitatori: lavarsi le mani, con acqua e sapone o con gli appositi dispensatori di gel antisettico, prima dell’ingresso in Terapia Intensiva e al momento dell’uscita dalla Terapia Intensiva stessa. Salvo situazioni specifiche facilmente codificabili (ad es. severa immunodepressione), nessuna limitazione ai visitatori né nell’orario né nella “vestizione” può essere giustificata con il rischio infettivo.
Malacarne P, Pini S, De Feo N. Relationship between pathogenic and colonizing microorganisms detected in intensive care unit patients and in their family members and visitors. Infect Control Hosp Epidemiol 2008; 29: 679-681
fonte: ufficio stampa