Prof. Franco Marinangeli, Coordinatore Medicina del Dolore e Cure Palliative di SIAARTI e primario del reparto di Anestesia e Rianimazione dell’Ospedale San Salvatore dell’Aquila: “L’attività della terapia del dolore è caratterizzata purtroppo da due altri problemi: da una parte la carenza di anestesisti-rianimatori sul territorio nazionale, che sono i professionisti di riferimento, e dall’altra la necessità di investimenti in termini di organizzazione e tecnologia all’interno degli ospedali”
Roma, 12 ottobre 2020 – Si è concluso nella serata di ieri il primo dei tre weekend digitali del 74° Congresso nazionale SIAARTI (“I CARE2020: Tecnologia e Umanizzazione nell’era del Covid-19”). All’appuntamento congressuale del 9-11 ottobre (gli altri eventi sono programmati nei giorni 16-18 ottobre e 23-25 ottobre) hanno partecipato in connessione oltre 2100 anestesisti-rianimatori, a conferma di una partecipazione reale e compatta all’evento annuale della Società scientifica, pur in situazione di fruizione online.
Il primo weekend di Congresso si è concluso nella serata di domenica 11 ottobre, con una delle sessioni più importanti e seguite, quella dedicata alla Legge 38, “Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore”, che ha introdotto nel nostro Paese (fungendo poi da legislazione di riferimento in Europa) un nuovo concetto di gestione di dolore concepito come malattia, approccio che rivela una visione decisamente evoluta rispetto al passato, soprattutto nel caso specifico dei malati terminali.
Ma la sessione del congresso SIAARTI ha voluto confrontarsi con i dieci anni della legge proponendo un dibattito dal titolo “La magnifica incompiuta”: come mai una scelta così ‘sfidante’?
“La Legge 38/2010 è stata indiscutibilmente una pietra miliare nel percorso della sanità italiana – ha precisato al termine della sessione il prof. Franco Marinangeli, Coordinatore Medicina del Dolore e Cure Palliative di SIAARTI e primario del reparto di Anestesia e Rianimazione dell’Ospedale San Salvatore dell’Aquila – È stata una legge molto attesa per organizzare un’area, quella della terapia del dolore e delle cure palliative, che da troppi anni attendeva un riconoscimento formale. Il dibattito che ne è seguito dopo la sua approvazione è stato importante e costruttivo, e ha contribuito a definire due diversi percorsi, ciascuno con sue peculiarità. Il primo, quello delle cure palliative, condiviso tra 8 diversi settori scientifici; il secondo, quello della terapia del dolore, appartenente unicamente alla disciplina di Anestesia-Rianimazione. Da quel momento il Ministero della Salute ha monitorizzato nel corso degli anni il percorso delle due reti, evidenziando alcuni progressi, ma anche grandi carenze strutturali e organizzative”.
Chi ha vissuto un percorso più spedito, cure palliative o terapia del dolore? “Possiamo affermare che le cure palliative hanno avuto maggiore fortuna – risponde il professor Marinangeli – anche per il fatto che il numero di professionisti disponibili per coprire l’area sono in numero decisamente sufficiente e la tipologia di attività ha bassi costi di gestione e ridotto impatto tecnologico. In sostanza, l’investimento in termini di uomini e mezzi era tale da aver permesso una strutturazione sufficiente e discretamente veloce”.
E per quanto riguarda le “reti di terapia del dolore”? “Qui la situazione è differente – precisa il rappresentante SIAARTI – Solo recentemente è stato definito con un Decreto del Ministro della Salute il Codice di riferimento 96, che rende le prestazioni tracciate e visibili all’interno dei flussi informatici della sanità. L’attività della terapia del dolore è inoltre caratterizzata purtroppo da due altri problemi: da una parte la carenza di anestesisti-rianimatori sul territorio nazionale, che sono i professionisti di riferimento, e dall’altra la necessità di investimenti in termini di organizzazione e tecnologia all’interno degli ospedali”.
La sessione SIAARTI sui dieci anni della 38.2010 ha proprio sottolineato la necessità di decisioni specifiche in quest’ultimo ambito così decisivo (personale ed investimenti) per evitare che il dettato legislativo proprio sulla terapia del dolore (“Terapia del dolore è l’insieme di interventi diagnostici e terapeutici volti a individuare e applicare alle forme morbose croniche idonee e appropriate terapie farmacologiche, chirurgiche, strumentali, psicologiche e riabilitative, tra loro variamente integrate, allo scopo di elaborare idonei percorsi diagnostico-terapeutici per la soppressione e il controllo del dolore”, Legge 15 marzo 2010 , n. 38; art.2 comma 2, lettera b) rimanga ancora limitato a poche situazioni avanzate e diffuso pericolosamente a macchia di leopardo sul territorio nazionale.
Nella Legge – soprattutto in merito al tema dell’avvio di progetti “Ospedale -Territorio senza dolore”, citati a chiare lettere nell’art.6 – si auspicava una forte integrazione tra centri hub e spoke, con successive positive ricadute territoriali: a che punto siamo? “L’integrazione dei centri è possibile e necessaria, ma purtroppo molte regioni non sono ancora state in grado di garantire centri hub & spoke accreditabili”, sottolinea il coordinatore SIAARTI.
La conclusione del seminario digitale del Congresso SIAARTI sulla “magnifica incompiuta” è quindi in questa sintesi: si tratta di una legge indubbiamente innovativa, ancora attuale, ma che non ha ancora espresso le sue complete potenzialità. Cosa sta facendo SIAARTI in questo ambito?
“La società scientifica di riferimento degli anestesisti-rianimatori, sta profondendo un grande impegno nella valorizzazione della terapia del dolore nell’ambito anestesiologico – conclude Franco Marinangeli – avendone compreso la portata per il miglioramento della qualità di vita di almeno un quarto degli italiani, che sono le persone che nel nostro Paese soffrono di dolore cronico. L’impegno prioritario è nella formazione, con la continua organizzazione di eventi e corsi, e nei rapporti istituzionali, che sono la base essenziale a supporto di un percorso che, sebbene ancora lungo, certamente inizia a dare i suoi frutti in termini di assistenza e, conseguentemente, di qualità di vita per i pazienti affetti da sindromi dolorose croniche”.