Roma, 31 maggio 2018 – La sentenza del Tar del Lazio che affida al medico specialista l’autonomia e la responsabilità in merito alla durata delle visite e delle prestazioni diagnostiche strumentali, rappresenta una svolta giuridica fondamentale. Si pongono, finalmente, limiti anche giuridici ad una concezione ‘industriale’ del rapporto medico/paziente così cara a molti settori del management delle aziende sanitarie del nostro Paese.
Già la recente Legge 219/2017 aveva statuito che “il tempo della comunicazione tra il medico e il paziente costituisce tempo di cura”, riconoscendo e aggiungendo gli elementi relazionali come parte inalienabile del rapporto medico/paziente, che in tutta evidenza non può sopportare forzature e invasioni di campo da parte del “terzo pagante” né banali processi di semplificazione.
L’illuminante sentenza del Tar del Lazio ribadisce ulteriormente, sulla scia di precedente giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Suprema Corte di Cassazione, l’autonomia e la responsabilità del medico nella relazione di cura, così piena di risvolti deontologici, etici e professionali, affermando che anche i tempi di esecuzione debbono essere coerenti con gli standard qualitativi individuati dallo Stato con il decreto Lea.
Ne deriva anche l’impossibile standardizzazione in termini di durata e di contenuti delle singole prestazioni sanitarie la cui appropriatezza non può che essere garantita dal valore professionale degli operatori.
Il medico non è un esecutore che opera a comando ed il paziente non è solo una cartella clinica. Senza un patto con i professionisti non si riducono né liste di attesa né costi. Prima la politica se ne rende conto, meglio è per tutti.