La tecnica, chiamata “hydrogel-in-hydrogel live bioprinting”, è al centro dello studio pubblicato su Nature Communications dal Team di ricerca del laboratorio di Nicola Elvassore (VIMM e Università di Padova) e di Anna Urciuolo (IRP e Università di Padova)
Padova, 1 giugno 2023 – L’impatto che gli organoidi hanno apportato alla ricerca biomedica e porteranno alla ricerca traslazionale è di enorme portata. A scapito di questa grande rivoluzione, c’è da dire che come tutti i sistemi di nuova generazione, gli organoidi ancora presentano dei limiti.
In particolare, e a differenza di quanto accade in un sistema vivente, gli organoidi in laboratorio si sviluppano per un meccanismo di auto-assemblamento, a formare solitamente delle strutture sferoidali, la cui forma non può essere facilmente controllata.
Questo limite è dato principalmente dal fatto che gli organoidi vengono cresciuti in laboratorio all’interno di matrici tridimensionali solide (hydrogels) inaccessibili, la cui forma è difficilmente modificabile.
In un nuovo studio – dal titolo “Hydrogel-in-hydrogel live bioprinting for guidance and control of organoids and organotypic cultures” pubblicato sulla rivista Nature Communications – un gruppo di ricercatori coordinato da Nicola Elvassore (Istituto Veneto di Medicina Molecolare (VIMM) e Università di Padova) e da Anna Urciuolo (Istituto di Ricerca Pediatrica Città della Speranza (IRP) e Università di Padova), in collaborazione con UCL e ShanghaiTech, ha sviluppato e testato un sistema in grado di controllare la forma e quindi l’attività cellulare di diversi tipi di organoidi.
Per poter raggiungere questo obiettivo i ricercatori hanno sviluppato una nuova tecnica di stampa biologica tridimensionale in grado di modificare la forma delle matrici in cui sono coltivati gli organoidi per influenzarne la crescita, la forma e quindi l’attività.
Questa tecnologia, chiamata “hydrogel-in-hydrogel live bioprinting” permette di modificare l’ambiente che circonda gli organoidi in qualsiasi momento durante la crescita degli organoidi, aprendo nuove prospettive per lo studio di attività cellulari in sistemi complessi come quelli degli organoidi prima mai indagati.
In particolare, questo studio ha dimostrato che è ora possibile controllare la direzione di crescita dei prolungamenti dei neuroni del midollo spinale, per poter meglio studiarne l’attività. La stampa tridimensionale consente anche una maggiore maturazione di alcune tipologie cellulari presenti negli organoidi, come quelli epatici e intestinali.
Inoltre, per la prima volta è stato possibile controllare la crescita di un modello tridimensionale di polmone per mimarne la morfogenesi durante lo sviluppo embrionale. Infine, questa tecnologia ha permesso di studiare organoidi tumorali, aprendo nuove prospettive nell’ambito degli stimoli che promuovono la migrazione delle cellule tumorali, attività coinvolta nella possibile formazione di metastasi.
“Negli ultimi anni la ricerca biomedica ha sfruttato degli approcci multidisciplinari per condurre studi biologici su sistemi più complessi del classico monostrato cellulare, sviluppando complessi modelli cellulari tridimensionali che riproducono più fedelmente in laboratorio organi e tessuti” ha sottolineato Anna Urciuolo.
“L’organizzazione e la forma tridimensionale delle cellule in un organo è un elemento molto importante, perché influisce sull’attività cellulare, nonché sulla funzione dell’insieme di cellule che costituiscono un organo e quindi sulla funzione dell’organo stesso. L’uso di organoidi ha aperto nuove frontiere per lo studio di attività cellulari finora difficilmente esplorabili senza l’utilizzo di animali modello”, ha evidenziato Nicola Elvassore.
“Inoltre, gli organoidi possono anche essere derivati da cellule umane, e in particolare da soggetti sani o da pazienti affetti da particolari patologie. Ciò consente di poter riprodurre in laboratorio sistemi molto simili ad organi umani per studi di biologia di base o volti alla scoperta di meccanismi alla base di patologie e all’identificazione di approcci terapeutici pre-clinici”, conclude il prof. Elvassore.