I ricercatori dell’Ospedale San Raffaele hanno identificato numerosi geni espressi in modo anomalo nel sistema nervoso periferico di chi soffre di Sclerosi Laterale Amiotrofica già nelle fasi precoci della malattia. Lo studio getta nuova luce sui meccanismi responsabili della malattia e sulla rilevanza del sistema nervoso periferico per lo sviluppo futuro di terapie innovative
Milano, 20 dicembre 2016 – Per la prima volta una ricerca indaga le anomalie molecolari associate alla Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) nelle cellule del sistema nervoso periferico, prelevate in vivo da alcuni pazienti nelle fase iniziale della malattia. Fin dalle prime fasi di malattia e prima della comparsa dei sintomi più evidenti, infatti, chi soffre di SLA presenta delle lesioni alle fibre dei nervi motori, che suggeriscono il ruolo chiave del sistema nervoso periferico – spesso ignorato dalla ricerca – nello sviluppo della malattia.
Nello studio, pubblicato su Scientific Reports, rivista del gruppo Nature, vengono identificati diversi geni espressi in quantità anomale nel tessuto nervoso prelevato dai pazienti, geni che sono stati poi messi in rete per scoprire le catene molecolari e i meccanismi patologici in cui sono coinvolti. La ricerca, frutto della collaborazione tra l’Unità di Neuropatologia Sperimentale e l’Unità di Genetica Umana delle Malattie Neurologiche dell’IRCCS Ospedale San Raffaele – una delle 18 strutture di eccellenza del Gruppo Ospedaliero San Donato – è stata possibile grazie al sostegno di AriSLA, la Fondazione Italiana di Ricerca per la Sclerosi Laterale Amiotrofica. I risultati ottenuti gettano nuova luce sui meccanismi responsabili dell’insorgenza e progressione di questa malattia, aprendo la strada allo sviluppo di nuove strategie per rallentarne la progressione.
Presupposto scientifico fondante di questo studio è stata la recente validazione, effettuata dallo stesso gruppo di ricerca, di una tecnica diagnostica particolarmente avanzata: la biopsia del nervo motorio. L’Ospedale San Raffaele è uno dei pochi centri in Europa ad aver sviluppato e studiato questa procedura, nonostante le sue difficoltà tecniche. Si tratta della raccolta di un campione di nervo motorio da un paziente che presenta i primi sintomi della malattia.
Angelo Quattrini, medico e ricercatore a capo dell’Unità di Neuropatologia Sperimentale, ha da sempre sostenuto si tratti di una tecnica preziosa, non solo per fare una diagnosi precoce in casi selezionati, ma perché offre uno sguardo inedito sul ruolo del sistema nervoso periferico nella SLA, un campo ancora poco battuto dai ricercatori che lottano contro la malattia.
“Solo ora la biopsia del nervo motorio sta conquistando l’interesse della comunità scientifica. La nostra è stata a lungo una scelta di frontiera – spiega Quattrini, cha in collaborazione con il dott. Filippo Martinelli-Boneschi, a capo dell’Unità di Genetica Umana delle Malattie Neurologiche, ha coordinato la ricerca – Dopo aver dimostrato che si tratta di una tecnica diagnostica potente ed accurata per distinguere in fase precoce la SLA, con questo studio mostriamo la sua importanza anche in ambito di ricerca, perché può svelare meccanismi molecolari fondamentali nello sviluppo della malattia a livello del sistema nervoso periferico”.
I ricercatori hanno raccolto dei campioni di nervo motorio da 8 pazienti affetti da SLA nella fase iniziale della malattia e da 7 pazienti affetti da neuropatia motoria, una condizione patologica che nelle prime fasi può essere facilmente confusa con la SLA, che sono serviti da gruppo di controllo.
Dall’analisi dei campioni i ricercatori hanno scoperto livelli anomali di espressione per oltre 800 geni. Questo significa che nelle cellule del sistema nervoso periferico di una persona affetta da SLA, ci sono – già nelle prime fasi della malattia – alterazioni caratteristiche e distintive che possono essere identificate e misurabili.
Ma i risultati della ricerca non si fermano qui. “Ogni gene trascrive per una proteina, e ogni proteina svolge il proprio ruolo (in questo caso patologico) in concerto con altre proteine, come i corridori di una ‘staffetta’ molecolare – spiega Nilo Riva, medico e ricercatore dell’Istituto di Neurologia Sperimentale dell’Ospedale San Raffaele, nonché primo autore dello studio insieme al dottor Ferdinando Clarelli – Studiando la catene molecolari che coinvolgono i geni espressi in modo anomalo, ovvero ricostruendo le squadre di geni che corrono in questa staffetta, abbiamo scoperto un gene, chiamato HDAC2, che sembra coordinare più squadre e il cui ruolo nella malattia sembra perciò di particolare importanza”.
HDAC2 regola la trascrizione dei geni ed era già stato messo in relazione alla progressione della SLA. Lo studio conferma questa tesi e rilancia il gene come possibile target farmacologico per rallentare la malattia.
Lo studio è stato possibile grazie ai finanziamenti di AriSLA – Fondazione Italiana di Ricerca per la Sclerosi Laterale Amiotrofica (progetto Ex-Alta – Call for Projects 2014).
fonte: ufficio stampa