La carenza di vitamina D interessa tra il 50 e il 70% dei bambini italiani. Insufficiente esposizione solare, stili di vita errati, allattamento esclusivo prolungato al seno, obesità e colore della pelle sono i principali fattori di rischio. Emergono nuove evidenze scientifiche sulle azioni extrascheletriche della vitamina D. Le raccomandazioni per prevenire l’ipovitaminosi D nel neonato, nel bambino e nell’adolescente
Roma, 10 dicembre 2015 – La Consensus sulla vitamina D in età pediatrica, promossa dalla Società Italiana di Pediatria (SIP) e dalla Società Italiana di Pediatria Preventiva e sociale (SIPPS), in collaborazione con la Federazione Medici Pediatri (FIMP), è il primo documento del genere nel nostro Paese. La Consensus fornisce le raccomandazioni mirate alla prevenzione dell’ipovitaminosi D in età pediatrica, individuando i soggetti a rischio e indicando le modalità di profilassi/trattamento.
“La principale novità del documento è rappresentata dalle recenti acquisizioni scientifiche relative alle azioni extrascheletriche della vitamina D nel bambino e nell’adolescente – spiega Giuseppe Saggese, Presidente della Conferenza Permanente dei Direttori delle scuole di specializzazione in Pediatria e coordinatore e scientifico della Consensus – Sino ad ora sapevamo che la vitamina D previene malattie dell’apparato osseo, come il rachitismo e l’osteoporosi, perché favorisce nell’organismo i processi di assorbimento del calcio, elemento costitutivo dell’apparato scheletrico. Nuove evidenze suggeriscono che la vitamina D ha un ruolo positivo in alcune patologie autoimmuni, come il diabete mellito 1 e l’artrite idiopatica giovanile, ma anche nell’asma, nel broncospasmo e nelle infezioni respiratorie ricorrenti. Alcuni studi hanno messo in luce che i bambini con queste infezioni hanno livelli più bassi di vitamina D e si è visto anche che la vitamina D ne migliora il decorso. Si tratta di letteratura recente ancora oggetto di approfondimento, ma i risultati sono incoraggianti e aprono nuove prospettive di utilizzo della vitamina D. In attesa di dati definitivi i pediatri devono comportarsi usando i principi del buonsenso e facendo riferimento alle raccomandazioni della Consensus”.
Nonostante le evidenze sui benefici della vitamina D, la maggior parte dei bambini italiani ne è carente. “L’ipovitaminosi D, condizione che va dall’ insufficienza al deficit di vitamina D, riguarda oltre un bambino su due, con punte massime in epoca neonatale e nell’adolescenza, dove si arriva a percentuali del 70%” spiega il Presidente SIP Giovanni Corsello.
Quali sono i soggetti a rischio? Il primo fattore di rischio è la scarsa esposizione solare, principale fonte di approvvigionamento della vitamina D. Il nostro organismo infatti la produce attraverso la sintesi cutanea indotta dall’esposizione ai raggi solari. “Gioco e attività fisica all’aria aperta dovrebbero essere maggiormente incoraggiati soprattutto durante la bella stagione, anche perché da novembre a febbraio l’inclinazione dei raggi ultravioletti è insufficiente a favorire la produzione di vitamina D – aggiunge Corsello – Il consiglio è rivolto soprattutto agli adolescenti che registrano i deficit più elevati di vitamina D anche a causa di stili di vita errati, come passare molte ore chiusi in casa davanti al computer o alla tv e non fare attività fisica”. L’allattamento al seno esclusivo prolungato, senza supplementazione di vitamina D, tipico di alcune culture come quelle araba o africana, è un fattore di rischio perché il latte materno, pur essendo l’alimento ideale per il neonato, non contiene quantità sufficienti di vitamina D. A rischio i bambini obesi perché il tessuto adiposo “sequestra” la vitamina D e quelli con la pelle scura perché questa non permette ai raggi solari di filtrare, un tema non trascurabile per l’attività di prevenzione svolta dai pediatri vista la sempre più elevata componente di bambini migranti.
Le conseguenze dell’ipovitaminosi D
Nel neonato la vitamina D, previene il rachitismo carenziale. “Nel bambino e nell’adolescente la vitamina D, così come il calcio e l’attività fisica, ha un impatto positivo sui processi di acquisizione della massa ossea – spiega Giuseppe Di Mauro Presidente SIPPS – Un individuo raggiunge il suo livello più elevato di massa ossea intorno ai 20 anni: tanto maggiore è il picco tanto minore è la probabilità di andare incontro all’osteoporosi nelle età successive della vita, soprattutto dopo la menopausa. I bambini italiani mediamente non arrivano al 50% del fabbisogno giornaliero di calcio. Pediatri e genitori devono incoraggiarli di più a fare colazione con una bella tazza di latte, un’abitudine italiana da difendere”, aggiunge Di Mauro.
Le raccomandazioni
Primo anno vita. La Consensus raccomanda la profilassi con vitamina D per tutti i neonati per tutto il primo anno di vita, indipendentemente dall’allattamento. Infatti né il latte materno, né quello in formula (anche se addizionato) riescono a soddisfare il fabbisogno giornaliero di vitamina D. Per raggiungerlo si dovrebbe consumare un litro di latte in formula al giorno, quantità alla quale il bambino arriva solo quando è prossimo allo svezzamento. La profilassi è inoltre raccomandata a tutte le donne in gravidanza o che allattano.
Da 1 a 18 anni la profilassi giornaliera è raccomandata solo nei soggetti a rischio: bambini di etnia non caucasica ed elevata pigmentazione, con ridotta esposizione solare, che seguono regimi alimentari inadeguati come la dieta vegana, bambini con insufficienza renale o epatite cronica, obesi, affetti da malattie infiammatorie croniche o da celiachia.
fonte: ufficio stampa