La comunicazione è un aspetto fondamentale nel programma educativo di un bambino Down, in quanto è la chiave che apre la porta alla socializzazione. Saper comunicare non significa esprimere pensieri e sentimenti solo attraverso messaggi verbali o scritti ma anche attraverso gesti, espressioni e comportamenti. L’uso dei gesti e delle parole è per il bambino uno dei mezzi più importanti per conoscere il mondo circostante e per condividere le sue esperienze con gli altri.
Nel bambino Down lo sviluppo comunicativo-linguistico è semplicemente ritardato ed incompleto, ma avviene e procede con le stesse modalità dello sviluppo normale. L’entità del ritardo è estremamente variabile da un bambino all’altro, ma, è sicuramente influenzata dalla stimolazione ambientale che il piccolo riceve. Naturalmente, l’uso della modalità gestuale sarà prevalente rispetto alla modalità vocale e la produzione di parole risulterà inferiore rispetto a quella dei bambini di pari età mentale. Quindi, il piccolo tenderà a compensare, con l’uso dei gesti, il ritardo nella produzione linguistica e il gesto non accompagnerà e/o rafforzerà le parole ma, spesso, le sostituirà.
La produzione linguistica generale è molto carente anche nel terzo anno di vita (inferiore rispetto a quella di bambini normodotati di 18 mesi e quindi priva di frasi e consistente in alcune parole singole) Caselli, Marchetti e Vicari, 2001. Solo a 4 anni, alcuni bambini Down, producono almeno 50 parole (cioè la produzione tipica dei bambini di 16-18 mesi).
La comprensione linguistica risulta, invece, migliore della produzione e tendenzialmente in pari con lo sviluppo cognitivo generale. Caselli, Marchetti e Vicari, 2001.
Come possono i genitori stimolare il proprio bambino?
Inizialmente è fondamentale favorire i primi contatti oculari tra il genitore e il piccolo, in questo modo il bambino inizierà a sorridere, rispondendo al sorriso dei genitori, si inizierà a giocare con le sue prime vocalizzazioni, imitando e favorendo l’imitazione, creando così delle situazioni relazionali simili a delle conversazioni. Pian piano i genitori dovranno stimolare le prime forme di attenzione condivisa tra adulto e bambino sull’oggetto di interesse comune e i primi giochi di apparizione e sparizione dell’oggetto come il gioco del cucù.
Il bambino inizierà a sviluppare le prime forme di coordinazione oculo-manuale e il raggiungimento dell’oggetto con l’intenzione di afferrarlo, manipolarlo e portarlo alla bocca, al fine di conoscerlo. Comincerà ad indicare l’oggetto, attirando l’attenzione dell’adulto che dovrà valorizzare quell’indicazione, incoraggiandolo alla condivisione dell’oggetto.
Le prime fasi di sviluppo del linguaggio sono caratterizzate dalla comparsa delle onomatopee (versi degli animali, rumori delle cose), che sono solitamente più brevi e più facili del nome vero e proprio. Le onomatopee costituiscono un buon allenamento per l’articolazione, infatti, è importante incoraggiare il bambino ad utilizzarle per cominciare a riconoscere e denominare oggetti e animali (“miao” per “gatto”, “bau bau” per “cane”, “tic tac” per “orologio”, ecc.).
Seguirà la comparsa delle prime parole: “mamma”, “papà”, “pappa”, sono parole legate ai primi bisogni di un bambino e costituite dai suoni “ma” e “pa”, che il bambino produce più facilmente nel periodo della lallazione.
L’obiettivo dell’intervento terapeutico con un bambino Down è l’acquisizione della capacità comunicativa e non l’articolazione corretta dei fonemi. L’intervento volto a favorire una corretta pronuncia delle parole è consigliabile (Rondal,2001) a partire dal momento in cui vengono prodotte circa 30-40 parole (in media nel terzo o quarto anno di vita), accanto ad interventi volti al miglioramento del controllo respiratorio e delle prassie bucco-facciali.
“L’adulto deve espandere le produzioni verbali del bambino e proporle correttamente enfatizzando e utilizzando molto i tratti sopra-segmentali, cioè la prosodia e l’accento” (Sabbadini e Osella, 2001).
I risultati che si ottengono con i bambini Down dipendono dal livello del quoziente intellettivo, dall’intervento precoce, dalla collaborazione della famiglia, dall’integrazione del bambino tra i coetanei.
I genitori riescono a collaborare con i terapisti e gli insegnanti solo se il bambino è stato realmente accettato, compreso e amato. Devono mostrare fiducia nelle capacità del bambino, comprendere i suoi limiti e stimolarlo con le attività consigliate.
L’obiettivo fondamentale del trattamento riabilitativo è quello di far maturare le potenzialità di ciascun bambino consentendo l’acquisizione delle maggiori forme di autonomia personali e cercando così di raggiungere e mantenere nel tempo un livello qualitativo di vita il più soddisfacente possibile.
“Ciò che conta, più di ogni altra cosa, è ribellarsi alla passività della compassione. Nessuno è “poverino”, nessuno è condannato alla sconfitta. Ciascuno trova in sé risorse inaspettate per sviluppare appieno le proprie potenzialità” (Reuven Feuerstein).
L’intervento, pertanto, deve basarsi su una stimolazione globale e plurisensoriale dei processi cognitivi; deve essere pianificato con cura, “cucito” sulla persona cui si riferisce, attraverso una serie di verifiche e nuove programmazioni da parte dell’équipe multidisciplinare che prende in carico il bambino.
Gli interventi devono essere sempre individualizzati sulla base delle specifiche caratteristiche, che rendono ogni persona unica e irripetibile.