Il team dell’Università di Roma “Tor Vergata” e dell’Università di Lovanio, guidato dalla prof.ssa Claudia Bagni, ha dimostrato come livelli alterati della proteina APP, coinvolta nella malattia neurodegenerativa dell’Alzheimer, siano legati ad alcune manifestazioni della sindrome di X Fragile, la più comune causa di disabilità intellettiva ereditaria. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Neuron, una delle riviste più influenti del campo delle Neuroscienze
Roma, 16 luglio 2015 – Un gruppo di scienziati internazionali ha identificato un nuovo importante ruolo di APP, la proteina finora coinvolta nella malattia neurodegenerativa di Alzheimer, nella sindrome dell’X Fragile (FXS). Lo studio, condotto da Emanuela Pasciuto, ricercatrice nel laboratorio diretto da Claudia Bagni, presso l’Università di Lovanio/VIB (Belgio) e Università di Roma “Tor Vergata”, in collaborazione con altri importanti atenei italiani (Università di Milano) ed europei (Università di Heidelberg e di Losanna) e americani (Università della California a Davis), ha scoperto un legame tra la proteina APP coinvolta nella malattia di Alzheimer e la sindrome dell’X Fragile, malattia del neurosviluppo.
Nel dettaglio gli scienziati, utilizzando un modello FXS murino, hanno individuato il meccanismo molecolare che porta a un aumento dei livelli del prodotto solubile derivante dalla maturazione di APP durante un periodo di sviluppo postnatale chiamato sinaptogenesi, critico per la formazione dei circuiti neuronali, formazione e consolidamento dei contatti tra le cellule nervose.
Lo studio, pubblicato oggi sulla rivista scientifica “Neuron”, ha dimostrato, nel modello murino, che è possibile migliorare alcune delle problematiche molecolari e comportamentali caratteristiche della sindrome dell’X Fragile (FXS) con una terapia somministrata successivamente alla nascita. Degno di nota il fatto che la proteina APP sia anche coinvolta in una malattia neurodegenerativa come il morbo di Alzheimer, che interessa invece le fasi più avanzate della vita dell’uomo.
La sindrome dell’X fragile è causata dall’assenza o dalla non corretta produzione della proteina FMRP (Fragile X-Mental Retardation Protein). L’assenza della proteina FMRP porta, dopo la nascita, ad una eccessiva produzione di APP e dell’enzima responsabile del suo processamento ADAM10. Conseguenza di questa doppia de-regolazione è l’incremento del prodotto solubile derivato dal processamento di APP, sAPPa, sia nel topo FXS che in cellule di pazienti FXS. La de-regolazione di APP-ADAM10 si verifica in una precisa finestra temporale postnatale, che coincide con la formazione dei contatti sinaptici e quindi con la costruzione dei circuiti neuronali, con effetti sulla morfologia neuronale, sulla trasmissione sinaptica e sul comportamento.
Questa osservazione rafforza il potenziale valore di strategie terapeutiche volte a correggere i livelli di APP-ADAM10 prima della età adulta. Il team della prof.ssa Bagni ha dimostrato che l’uso, nel modello murino di FXS, di un peptide non tossico identificato dal gruppo della prof.ssa Monica Di Luca (Università di Milano), è in grado di attraversare la barriera ematoencefalica e di agire diminuendo l’attività di ADAM10. Questo approccio sperimentale ha migliorato il funzionamento cerebrale nel topo, il fenotipo delle spine dendritiche, i livelli eccessivi di sintesi proteica ed i deficit di memorizzazione e socializzazione associati con FXS ed Autismo.
“La nostra ricerca sottolinea il ruolo cruciale di FMRP durante lo sviluppo postnatale e identifica un meccanismo che, almeno nel topo, può essere migliorato nelle fasi successive alla nascita. Questa scoperta pone le basi per futuri approcci terapeutici mirati al miglioramento della sindrome dell’X Fragile ma anche di altre disabilità intellettive come l’autismo caratterizzate dal patologico incremento del processamento di APP. Ulteriori studi preclinici sono necessari perché tali risultati possano essere utilizzati nell’uomo”, sostiene Claudia Bagni, Università di Roma “Tor Vergata”.
La sindrome dell’X Fragile è la più comune causa di disabilità intellettiva ereditaria e la più frequente causa monogenica dei disturbi dello spettro autistico (ASD). Attualmente non è disponibile una cura per questa malattia. Numerosi studi clinici in corso negli ultimi anni sono stati interrotti (www.clinicaltrial.org) rendendo ad oggi impellente la necessità di esplorare nuove efficaci strategie terapeutiche.
fonte: ufficio stampa