a cura del Prof. Carlo Ferrarese, Professore Ordinario di Neurologia, Direttore Scientifico del Centro di Neuroscienze di Milano, Università di Milano-Bicocca, Ospedale San Gerardo, Monza
16 marzo 2015 – La Malattia di Alzheimer è la causa più comune di demenza, che colpisce attualmente più di 700.000 italiani. L’incidenza aumenta progressivamente con l’età, tanto che oltre gli 80 anni una persona su 5 ne risulta affetta. Con l’invecchiamento della popolazione, si stima che nel 2020 i nuovi casi di demenza raddoppieranno, con un grosso costo umano e sociale.
Non vi sono ancora cure in grado di arrestare la malattia, ma solo di mitigarne i sintomi, anche se oggi è possibile effettuare una diagnosi precoce, sulla base del precoce riconoscimento di iniziali disturbi di memoria e della positività di marcatori di malattia agli esami neuroradiologici e del liquor cerebro-spinale. Sono infatti noti i meccanismi biologici che portano alla neurodegenerazione responsabile della demenza, legati all’accumulo di una proteina nota come beta-amiloide.
Nell’ambito della prevenzione, la ricerca scientifica ha fatto enormi passi avanti nell’identificazione di fattori che incrementano il rischio di sviluppare la patologia: ipertensione, diabete, obesità, scarsa attività fisica, oltre a rappresentare fattori di rischio per malattie vascolari, conferiscono un rischio maggiore di contrarre la malattia. Tutti questi fattori infatti contribuiscono all’accumulo della proteina beta amiloide nei vasi cerebrali e nel tessuto nervoso, portando progressivamente a morte i neuroni.
Adeguati stili di vita: esercizio fisico, alimentazione povera di colesterolo e ricca di fibre, vitamine ed antiossidanti contenuti in frutta e verdura e di grassi insaturi contenuti nell’olio di oliva (la cosiddetta dieta mediterranea) riducono l’incidenza non solo di ipertensione, diabete e obesità, ma anche di malattia di Alzheimer, come dimostrato in studi di popolazione su ampie casistiche. Alcune carenze vitaminiche, in particolare di folati e vitamina B12, possono facilitare l’insorgenza di demenza, e questo appare mediato da un aumento di omocisteina, che risulta tossica per i vasi ed i neuroni. Gli antiossidanti presenti nella dieta ricca di frutta e verdura (vitamine C ed E, licopeni, antocianine) contrastano l’accumulo di “radicali liberi” prodotti dalle interazioni della proteina beta amiloide con le strutture cellulari. Anche un moderato consumo di caffè e di vino rosso, con le numerose sostanze antiossidanti contenute, sembrerebbero avere un ruolo protettivo nei confronti dello sviluppo della demenza e sono in corso attualmente degli studi di popolazione destinati a confermare tali ipotesi.
L’esercizio fisico svolgerebbe un ruolo sinergico rispetto a quello dell’alimentazione e negli ultimi anni si è fatto strada il concetto del muscolo scheletrico come vero e proprio “organo endocrino” in grado, se adeguatamente sollecitato, di produrre una serie di sostanze trofiche per i neuroni, come, per esempio, il BDNF.
Studi recenti, inoltre, hanno dimostrato come la protezione migliore del cervello dal danno indotto dall’accumulo della proteina tossica sia mantenerlo attivo, controbilanciando la perdita di neuroni con lo sviluppo di nuovi collegamenti e sinapsi. Il concetto di “riserva cognitiva”, elaborato in questi anni anche con l’utilizzo di tecniche di risonanza magnetica funzionale, esprime il fatto che cervelli che hanno sviluppato ampie connessioni grazie ad un elevato livello di scolarizzazione, attività culturali, adeguata socializzazione, sono più “protetti” dai meccanismi di danno neuronale.
Un naturale meccanismo di protezione è anche rappresentato dal sonno. Si è infatti recentemente scoperto che il sonno facilita la rimozione di proteine tossiche dal cervello e che quindi riduce l’accumulo di beta-amiloide e i suoi meccanismi di tossicità.
Alimentazione e stile di vita si contrappongo classicamente a quella che è la predisposizione genica, interagendo anche ad un livello noto come “epigenetico”, ovvero relativo alle regolazione di espressione dei geni. Il crescente interesse per l’epigenetica, culminato nel lavoro di mappaggio dell’epigenoma recentemente pubblicato su Science, svela quelli che sono i meccanismi biologici operativi all’interfaccia tra geni e ambiente, con ricadute potenziali sullo sviluppo dell’Alzheimer, tra molte altre malattie.
In conclusione, anche se non vi sono ancora cure in grado di prevenire o bloccare la malattia, possiamo oggi indicare che l’alimentazione e il sonno adeguati, l’esercizio fisico, le attività culturali e i rapporti sociali agiscano da fattore protettivo nei confronti della malattia di Alzheimer, ritardandone l’insorgenza anche di anni nei soggetti geneticamente predisposti.