Roma, 15 novembre 2016 – È stato pubblicato sul sito web dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) il Rapporto di aggiornamento sul terremoto, di magnitudo 6.5, che ha colpito l’Italia centrale il 30 ottobre scorso (in italiano e in inglese). Nelle 49 pagine del rapporto sono descritti sia gli studi in corso sia i risultati preliminari basati sui dati dell’evento sismico in questione e sui rapporti tra questo e i precedenti terremoti del 24 agosto e del 26 ottobre.
Nel rapporto vengono descritte: le analisi dei dati sismologici, con mappe e sezioni verticali attraverso la zona epicentrale; i modelli di faglia basati sui dati sismometrici e accelerometrici, sui dati geodetici (GPS e da SAR – interferometria radar da satellite) con le prime indicazioni della distribuzione del movimento di dettaglio delle varie faglie; l’impatto del terremoto sul territorio, “visto” dai dati sismici e stimato in base alle Shake maps e alle analisi sul terreno; la fagliazione, osservata in superficie in tutta l’area interessata dai terremoti più forti dal 24 agosto al 30 ottobre; e, infine, una stima delle probabilità di accadimento delle future repliche (aftershocks).
Dall’analisi di tutti i dati analizzati finora stanno emergendo risultati interessanti sul sistema di faglie che attraversa la regione e che si è attivato in questa sequenza sismica che, lo ricordiamo, è tuttora in corso. Sono infatti ancora diverse centinaia le repliche che vengono localizzate ogni giorno dalla Rete Sismica Nazionale dell’INGV.
L’analisi dei dati geologici, di quelli geodetici e sismologici sono coerenti nell’individuazione delle faglie e della loro cinematica, sebbene siano stati osservati alcuni elementi che sono in corso di approfondimenti e che sono il sintomo della complessità del sistema.
È comunque ormai chiaro che le faglie responsabili dei terremoti sono quelle note in letteratura come faglia del Monte Vettore-Bove, faglie normali (ossia a carattere estensionale) orientate in senso NNW-SSE e immergenti verso ovest. Le faglie si sono attivate per l’intero spessore dello strato sismogenetico, da circa 10 km di profondità fino alla superficie, producendo rotture ben visibili in affioramento, con “rigetti” (ossia scalini) che raggiungono in qualche punto i due metri.
Queste rotture osservate in superficie rappresentano la prosecuzione del movimento profondo sul piano di faglia, che si è originato intorno agli 8-10 km (l’ipocentro) e si è propagata lateralmente e verso l’alto. Sia i dati accelerometrici che quelli geodetici sono coerenti nell’individuazione delle zone di massimo spostamento della faglia del 30 ottobre, che si colloca tra le precedenti rotture del 24 agosto a sud e del 26 ottobre a nord, interessando principalmente il settore centrale del sistema di faglie e la sua parte più superficiale, dove vengono individuati spostamenti superiori ai 2.5 metri sul piano di faglia.
È infatti evidente che lo spostamento lungo i diversi segmenti di faglia attivi in questi mesi non è avvenuto in maniera omogenea, ma ha avuto forti eterogeneità: spostamenti da pochi decimetri a 1-2 metri sul piano della stessa faglia. Questo potrebbe spiegare la complessità della sequenza, con l’attivazione successiva di segmenti di faglia di grandezza diversa e con spostamenti dei due lembi della faglia anche molto diversi. Sono visibili inoltre altre faglie “minori” che si sono mosse durante la sequenza.
È in corso l’elaborazione di modelli più raffinati per identificare i dettagli di questa geometria e cinematica, confrontando e analizzando congiuntamente tutti i dati disponibili.L’analisi dei dati accelerometrici del terremoto del 30 ottobre ad Amatrice, dove era stata installata una rete sismica temporanea per effettuare indagini propedeutiche alle attività di microzonazione sismica, ha evidenziato delle forti variazioni delle accelerazioni del suolo a distanze molto brevi, con amplificazioni fino a un fattore 5 rispetto a siti su roccia, dovute principalmente alla struttura geologica superficiale.
Le analisi proseguono per seguire attentamente l’andamento delle repliche (il cui numero ha ormai superato quota 26000), per una mappatura di dettaglio degli effetti di superficie, per realizzare dei modelli di faglie che riescano a tener conto di tutti gli elementi osservati sul terreno e dal satellite.
fonte: ufficio stampa