Lo studio, pubblicato su Nature Communications, è stato condotto dai ricercatori delle Università di Torino e Politecnica delle Marche
Torino, 11 settembre 2019 – Uno studio pubblicato sull’autorevole rivista scientifica Nature Communications descrive un nuovo potenziale marcatore per i pazienti con la sepsi. Il gruppo di ricerca coordinato dalla prof.ssa Silvia Deaglio del Dipartimento di Scienze Mediche dell’Università di Torino, in stretta collaborazione con il gruppo della prof.ssa Nadia Raffaelli dell’Università Politecnica delle Marche, ha, infatti, identificato un nuovo mediatore endogeno della sepsi, denominato nicotinato fosforibosil transferasi (NAPRT).
Unendo competenze biochimiche e immunologiche, le ricercatrici hanno scoperto che NAPRT, una proteina enzimatica normalmente presente dentro le cellule e necessaria per l’utilizzo della vitamina B3, può essere rilasciata nel sangue dove diventa capace di stimolare il sistema immunitario scatenando un processo infiammatorio.
L’infezione è una condizione relativamente comune, generalmente localizzata e che passa rapidamente con l’applicazione di una pomata, un collirio o, al massimo, con qualche giorno di antibiotico. In un numero limitato di casi, le infezioni possono progredire in sepsi, ossia in una condizione clinica caratterizzata da una risposta infiammatoria abnorme innescata da una serie di sostanze prodotte dai microorganismi che hanno causato l’infezione, i quali attivano in maniera incontrollata la risposta difensiva del nostro sistema immunitario.
Tuttavia, quando sottoposto a questo attacco, l’organismo stesso può a sua volta produrre mediatori dell’infiammazione che possono esacerbare lo stato di sepsi e portare rapidamente il paziente in una condizione di shock settico, con un’alta percentuale di mortalità.
Lo studio mostra che i pazienti in stato di sepsi sono caratterizzati da livelli plasmatici in media 20-30 volte più elevati rispetto a controlli della stessa età e sesso. Proprio i pazienti con livelli più elevati di NAPRT sono anche caratterizzati da insufficienza epatica e renale, una condizione che spesso precede un esito infausto e una sopravvivenza decisamente minore rispetto a quelli con livelli più bassi di NAPRT.
Questo studio non solo rappresenta un passo avanti nella conoscenza dei meccanismi che spesso conducono alla morte del paziente durante un’infezione sistemica, ma anche può mettere a disposizione della comunità medico-scientifica un nuovo strumento per monitorare i pazienti con sepsi e identificare precocemente quelli a rischio di shock settico ed esito infausto.