Le procedure adottate all’IRCCS Materno Infantile triestino sono state oggetto di un articolo sulla prestigiosa rivista inglese Pediatric Anesthesia
Trieste, 15 ottobre 2020 – Il trattamento del dolore collegato alle procedure mediche invasive (endoscopie, puntati midollari, riduzione di fratture…) nel bambino non può prescindere dalla sedazione procedurale, ovvero dall’utilizzo di farmaci usati per via endonasale, inalatoria o endovenosa che permettono di togliere dolore, paura e ansia, per lo più inducendo una perdita di coscienza controllata e monitorata.
In tempi di pandemia da Covid-19, però l’attività di sedazione, praticata abitualmente al Burlo da almeno 20 anni, ha posto agli operatori problemi aggiuntivi perché richiede oltre a uno stretto contatto con il paziente anche l’utilizzo di procedure “che generano aerosol” (ovvero che mandano in giro le goccioline responsabili della diffusione del virus), quindi aumentano il rischio di un ipotetico contagio da Covid, come la somministrazione di farmaci nel naso, mantenimento delle vie aeree ‘aperte’ durante la perdita di coscienza, possibile presenza di tosse e starnuti, possibile necessità di dover dare un breve supporto alla ventilazione.
Per questo motivo fin dall’inizio della pandemia, oltre al normale addestramento dedicato a cui sono tenuti i vari medici specialisti (pediatri, gastroenterologi, medici delle terapie intensive, medici dell’urgenza…) che praticano la sedazione procedurale, il monitoraggio di alto livello e la condivisione con gli anestesisti dei protocolli raccomandati dalla linee guida internazionali, all’IRCCS “Burlo Garofolo”, come in tutte le strutture del sistema sanitario nazionale, una particolare attenzione è stata posta al fine di limitare i rischi di trasmissione mediante esecuzione il più possibile di tamponi, protezione del personale con uso di visiera, mascherine, sopra-camici degli operatori a diretto contatto, distanza sociale, limitazione del numero di operatori e di persone che accompagnano il bambino, uso di disinfettanti, disinfezione degli ambienti.
Tutto ciò si è reso necessario anche perché è noto che la sensibilità del tampone non è assoluta, potrebbe infatti “non vedere” dal 20 al 30% dei positivi e, soprattutto nei mesi passati, la disponibilità di tamponi non era assoluta.
In considerazione del dibattito in corso nella comunità scientifica sul rischio di contagio in procedure che generano aerosol in era Covid e della mancanza di dati al riguardo nella letteratura scientifica, l’esperienza del Burlo è stata oggetto di un articolo pubblicato sulla rivista inglese Pediatric Anesthesia, giornale di assoluto riferimento nel settore.
“Abbiamo coniugato le pratiche di protezione dei pazienti e operatori che avevamo scelto – spiega il prof. Egidio Barbi, direttore della Clinica Pediatrica e coautore del primo lavoro in questo ambito nella letteratura internazionale – con l’opportunità pressoché unica fin dall’inizio della pandemia, di un monitoraggio di tutti gli operatori del Burlo. Infatti, grazie al sostegno della prof.ssa Manola Comar, virologa, del prof. Paolo Gasparini, direttore dipartimento laboratorio e delle Direzioni Generale e Sanitaria abbiamo potuto avere al Burlo un monitoraggio in tempo reale ogni 15 giorni, dall’inizio della pandemia, di tutti gli operatori, che si è aggiunto a un numero sempre maggiore di tamponi nei pazienti”.
“Nei mesi di osservazione dello studio (marzo-agosto 2020) – continua Barbi – sono state documentate cinque infezioni su 530 persone circa di tutto lo staff dell’Istituto, e nessuna negli operatori della sedazione procedurale. Per quanto riguarda i pazienti che hanno necessitato di sedazione due infezioni sono state diagnosticate all’ingresso in ospedale in due bambini che hanno avuto accesso al programma di sedazione, sugli oltre 250 del periodo di studio”.
In questa difficile fase i pediatri che hanno gestito le sedazioni hanno usufruito anche del supporto dell’anestesista pediatra supervisore, dottoressa Alessia Saccari.
L’esperienza del Burlo ha dimostrato, dunque, che, anche a fronte di procedure che generano aerosol e sono ad alto rischio di contagio, una adeguata protezione di pazienti e operatori e un attento monitoraggio permettono di curare in sicurezza i nostri pazienti.
“Confrontandomi con colleghi altri Paesi, come ad esempio Stati Uniti ed Olanda – sottolinea Barbi – ho potuto notare come i livelli di monitoraggio di cui ha usufruito il nostro personale siano stati di gran lunga superiori”.
“Sin dall’inizio della pandemia – chiarisce al riguardo il direttore generale dell’IRCCS, dottor Stefano Dorbolò – abbiamo voluto garantire la massima sicurezza degli operatori sanitari con la precisa scelta di effettuare la sorveglianza sanitaria in modo sistematico; l’attività di tamponamento a tutto il personale è arrivata ad avere una cadenza fissa e programmata di 15 giorni. Ciò a tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, a garanzia e protezione dell’utenza e al fine di intercettare subito eventuali situazioni di positività azionando immediatamente interventi di rintracciamento dei contatti per evitare focolai”.
“I numeri assolutamente bassi delle infezioni riscontrate – continua Dorbolò – in sei mesi sono la dimostrazione di due aspetti: l’efficacia degli interventi tempestivi e preventivi che abbiamo messo in atto sia sul fronte organizzativo che su quello dei processi assistenziali e il senso di responsabilità e rispetto delle regole da parte del personale dell’Istituto. Soprattutto, però – conclude il direttore generale – è stato e continua a essere un lavoro di squadra, coordinato dalla Direzione Sanitaria che ringrazio, dove tutti, senza distinzione di ruoli e responsabilità, hanno seguito la linea dell’Istituto con unità di intenti e volontà di salvaguardare il più possibile la sicurezza dell’ospedale”.