Milano, 21 ottobre 2020 – I Pronto Soccorso e i reparti tornano a riempirsi e, purtroppo, anche i dati delle Terapie Intensive sono in salita. La cosiddetta seconda ondata di Covid-19 è arrivata, con numeri importanti soprattutto in Lombardia. Il problema maggiore? La cronica carenza di personale infermieristico nelle corsie e sul territorio, frutto di anni di scelte miopi, di tagli e di scarsa valorizzazione delle risorse umane.
“Avremmo dovuto essere in grado di non ripetere vecchi errori: le numerose denunce della FIALS di Milano in difesa della salute dei cittadini dei diritti dei lavoratori sono rimaste inascoltate”, commenta Mimma Sternativo, Segretario Generale FIALS Milano Area Metropolitana, il maggiore sindacato indipendente che riunisce tutte le figure professionali impegnate nel mondo della Sanità.
Perché non ci sono gli infermieri
“Nonostante i risultati di studi internazionali sul rapporto numerico infermiere-paziente e i continui messaggi di allarme lanciati e da tutte le organizzazioni sindacali e in particolare dalla FNOPI (Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche), che avvisa della mancanza di 53mila infermieri in Italia, è mancato un razionale programmatorio del numero di accessi in università. Oggi le aziende non hanno personale cui attingere, le poche graduatorie esistenti sono molte volte fittizie perché lo stesso infermiere è inserito in più graduatorie. Non va inoltre dimenticato il rischio di sottrarre personale alle RSA che versano già in grosse difficoltà e che per condizioni lavorative sono meno attrattive rispetto alle aziende ospedaliere – spiega Sternativo – In merito alla situazione contingente, c’è da sottolineare che l’assunzione dei 30 mila medici e infermieri a tempo determinato di cui ha parlato il premier Conte domenica sera è riferita solo e soltanto per il periodo emergenziale, e non fa che ripetere vecchi schemi. E soprattutto dove sono questi professionisti? Da tutte le aziende del milanese e hinterland sappiamo che c’è grossa difficoltà a trovare personale”.
E anche il tentativo di Regione Lombardia di correre ai ripari, tornando ad investire sul territorio con l’introduzione della figura dell’infermiere di famiglia, sembra insufficiente. Al momento le aziende ospedaliere hanno fatto una manifestazione d’interesse interna, ma ancora oggi il ruolo e i compiti di questa figura non sono stati chiariti.
No agli eroismi, sì al coinvolgimento per una corretta organizzazione
In una situazione in continua evoluzione, seppur in larga parte prevedibile, le criticità sembrano essere quelle dei mesi scorsi. “I Pronto Soccorso degli ospedali milanesi e dell’hinterland sono già sovraccarichi, con percorsi mancanti o inadeguati, creati con quattro sedie, pazienti positivi e negativi ricoverati nello stesso reparto, scarsa organizzazione che rischia di compromettere la qualità delle cure e dell’assistenza ai pazienti. E ovviamente è a rischio anche il personale, a causa della scarsa propensione delle aziende a proteggere gli operatori sanitari, non soltanto con le tute e le maschere ma anche con un monitoraggio continuo con test di screening tampone/esame sierologico. Il rischio è che il sistema collassi per davvero: questa volta non c’è l’adrenalina a tenere i corpi in piedi e le menti attive”.
Già, perché è proprio sulle spalle degli operatori sanitari che si gioca il grosso della partita: “È necessario che la politica ad ogni livello ascolti i professionisti in prima linea e che vi sia maggiore coinvolgimento, da parte delle Direzioni, dei rappresentanti dei lavoratori nelle scelte aziendali per la lotta alla diffusione del coronavirus” conclude Sternativo.
Gli infermieri e tutti coloro che operano nelle strutture ospedaliere e sanitarie non vogliono essere eroi “usa e getta”, prima spremuti e poi abbandonati: vogliono solo poter svolgere la loro professione al meglio per i pazienti, senza mettere in pericolo se stessi.