Il lavoro, condotto dall’Irgb-Cnr e Università di Sassari e cofinanziato dalla Fism, è pubblicato su New England Journal of Medicine e svela per la prima volta un importante meccanismo biologico che predispone a queste malattie, gettando le basi per nuove terapie personalizzate e per lo sviluppo di nuovi farmaci. L’individuazione di un nesso di causa-effetto diretto come quello tra una particolare forma di Tnfsf13B e il rischio di sviluppare le due patologie è un evento rarissimo in studi di questo genere
Roma, 27 aprile 2017 – All’origine del rischio di sviluppare sclerosi multipla (SM) e lupus eritematoso sistemico, malattie autoimmuni a carico rispettivamente della mielina del sistema nervoso centrale e di pelle, reni e altri organi, vi sarebbe anche una particolare forma di Tnfsf13B, un gene che presiede alla sintesi di una proteina con importanti funzioni immunologiche: la citochina Baff.
A rivelarlo su New England Journal of Medicine, la più antica e prestigiosa rivista di medicina al mondo, uno studio di un gruppo internazionale di ricercatori cofinanziato dalla Fondazione italiana sclerosi multipla (Fism) e coordinato da Francesco Cucca, direttore dell’Istituto di ricerca genetica e biomedica del Consiglio nazionale delle ricerche (Irgb-Cnr) e professore di genetica medica dell’Università di Sassari. Alla pubblicazione italiana la rivista americana dedica anche un editoriale.
“Sclerosi multipla e lupus eritematoso sistemico sono ‘malattie multifattoriali’, in cui il processo autoimmune è determinato dall’azione congiunta di diversi fattori genetici e ambientali. Più le cause di questo processo sono conosciute, più diventa facile comprendere i meccanismi biologici alla loro base e identificare i corretti bersagli terapeutici, creando anche le premesse per capire a quali individui debbano essere somministrati specifici farmaci”, spiega Cucca.
Il sistema immunitario è costituito da centinaia di cellule e molecole e non è semplice stabilire quali siano implicate nel rischio di sviluppare determinate malattie. “Per lungo tempo si è ritenuto che i linfociti T fossero le cellule primariamente coinvolte nella SM – prosegue il direttore dell’Irgb-Cnr – Oggi, anche grazie a questo studio, emerge un ruolo primario dei linfociti B in questa patologia. Queste cellule immuni, tra le altre funzioni, producono anticorpi che normalmente ci difendono da certi tipi di microbi ma che, in qualche caso, possono diventare auto-anticorpi e partecipare così alla risposta infiammatoria che sta alla base di alcune forme di autoimmunità”.
La ricerca si è basata sul sequenziamento dell’intero genoma in migliaia di individui sani e malati, abbinato a una caratterizzazione ultra-dettagliata dei loro profili immunologici.
“Le analisi, inizialmente condotte su individui sardi – grazie alla collaborazione tra i principali centri di ricerca (il Cnr, il CRS4 e le Università di Sassari e Cagliari) e ospedalieri dell’isola – sono state estese ad ampie casistiche provenienti da Italia peninsulare, Spagna, Portogallo, Regno Unito e Svezia”, aggiunge Maristella Steri, primo autore del lavoro e ricercatrice Irgb-Cnr. “Dopo sei anni di ricerche siamo stati in grado di identificare la correlazione diretta tra una particolare forma del gene Tnfsf13B e il rischio di sviluppare la Sm o il lupus. L’individuazione di questo nesso di causa- effetto è un evento rarissimo in studi di questo genere”.
Un’altra peculiarità dello studio è che rileva attraverso quali meccanismi la variante genetica predisponente nei confronti dell’autoimmunità, denominata Baff-var, esercita i suoi effetti deleteri.
“Baff-var è associata con il rischio di sviluppare sclerosi multipla e Lupus attraverso particolari meccanismi molecolari da noi chiariti in dettaglio, che determinano un aumento considerevole dei livelli ematici di Baff, che a sua volta determina un aumento del numero dei linfociti B e dei livelli di anticorpi, suggerendo quindi un ruolo di queste variabili immunologiche nel processo alla base della malattia – conclude Francesco Cucca – I risultati di questo studio sono coerenti con il fatto che il primo farmaco ad aver dimostrato efficacia terapeutica nel lupus in uno studio clinico controllato era proprio uno specifico farmaco anti-Baff. Le conclusioni sono inoltre supportate dai risultati positivi recentemente ottenuti con terapie in grado di ridurre il numero di cellule B nella sclerosi multipla, nel lupus e in altre patologie autoimmuni”.
fonte: ufficio stampa