Ricercatori dell’Università di Padova e dell’Istituto Veneto di Medicina Molecolare scoprono un meccanismo fondamentale che apre nuove strade per combattere l’obesità
Padova, 6 dicembre 2021 – L’epidemia di obesità nel mondo occidentale rappresenta una delle sfide della medicina moderna. Negli Stati Uniti quasi il 43% della popolazione è obeso, nella regione europea dell’OMS il 20%, in Italia quasi il 10%. L’obesità è un grave fattore di rischio per patologie cardiovascolari, per il diabete di tipo 2 e per certi tipi di tumori, ma mancano terapie farmacologiche.
Una possibilità è data da un ‘cambiamento’ del grasso. Nel nostro corpo esistono infatti due tipi di grasso, il cosiddetto grasso bianco, deputato all’immagazzinamento dei grassi, e il grasso bruno, deputato invece alla dissoluzione del grasso, che in questo tessuto viene convertito in calore. Insomma, il grasso bruno ‘brucia i grassi’. Purtroppo, la quantità di grasso bruno è esigua e diminuisce con l’età. Esiste però la speranza di poter ‘istruire’ il grasso bianco a diventare simile al grasso bruno (in questo caso il grasso si chiama beige, a rimarcare il colore intermedio tra i due tipi di grasso).
Lo studio “The mitochondrial protein Opa1 promotes adipocyte browning that is dependent on urea cycle metabolites” pubblicato su Nature Metabolism, condotto dalla dott.ssa Camilla Bean dell’Istituto Veneto di Medicina Molecolare (VIMM) e coordinato dal prof. Luca Scorrano, ordinario di Biochimica del Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova, Principal Investigator del VIMM di cui è stato Direttore Scientifico, apre una strada in questa direzione.
Per identificare questa strategia per ‘convincere’ il grasso bianco a diventare beige i ricercatori sono partiti dall’analisi delle differenze tra il grasso bianco dei pazienti con obesità e quello degli individui normopeso, curati dal prof. Roberto Vettor, Direttore del Dipartimento di Medicina dell’Università di Padova e alla prof.ssa Kirsi Pietilainen, Direttrice del Programma di Metabolismo Clinico e Molecolare dell’Università di Helsinki (Finlandia).
Il gruppo di Scorrano ha scoperto nel grasso degli individui normopeso alti livelli di una proteina chiamata Opa1. Questa proteina dei mitocondri, le centrali energetiche della cellula, è essenziale per controllare il loro metabolismo e il loro ruolo come ‘interruttori’ del suicidio cellulare.
La dott.ssa Bean ha confermato questi dati clinici in diversi modelli sperimentali di obesità: alti livelli di Opa1 proteggono dall’obesità e soprattutto dalle conseguenze deleterie della dieta iperlipidica sul metabolismo. Questa protezione è dovuta al fatto che Opa1 attraverso un meccanismo insospettabile stimola la conversione del grasso bianco in grasso beige.
In collaborazione con il prof. Nico Mitro dell’Università Statale di Milano i ricercatori hanno scoperto che Opa1 stimola nel grasso la sintesi di urea, un prodotto di scarto del nostro organismo generata normalmente nel fegato ed eliminata con l’urina. Durante la sintesi di urea negli adipociti si accumula un prodotto intermedio, chiamato fumarato, che ‘istruisce’ gli adipociti bianchi a diventare beige. Infatti, la somministrazione in laboratorio di fumarato agli adipociti bianchi li spinge a diventare beige, trasformandoli da “magazzini di grasso” a cellule in grado di “bruciare i grassi”.
“Il nostro studio identifica tre insospettabili attori: Opa1, il “ciclo dell’urea” e il fumarato – spiega il prof. Scorrano – Confidiamo che da questa scoperta possano nascere innovative terapie che dicano al nostro corpo come bruciare i grassi, con lo scopo di contrastare l’epidemia di obesità che affligge il mondo occidentale”.
Questo studio apre inoltre la via per una terapia efficace della “adiposopatia”, la malattia del tessuto adiposo che è una delle cause principali delle gravi complicanze cardiovascolari che affliggono i pazienti con obesità e diabete di tipo 2. Conferma, ancora una volta l’attenzione ed il livello dei ricercatori di base e clinici nel settore metabolico.
Lo studio è stato finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e dalla European Foundation for the Study of Diabetes.