Scoperto meccanismo di ‘avvelenamento’ delle cellule del sangue nella sindrome VEXAS
I ricercatori dell’IRCCS ospedale San Raffaele, impiegando un’innovativa tecnologia di editing genetico, hanno sviluppato un modello preclinico che ha permesso di identificare “l’avvelenamento” delle cellule del sangue come principale meccanismo alla base della sindrome VEXAS, una malattia ematologica infiammatoria legata all’invecchiamento
Milano, 7 aprile 2025 – Un gruppo di ricercatori dell’Istituto San Raffaele – Telethon per la Terapia Genica (SR-Tiget), in collaborazione con la Divisione di Genetica e Biologia Cellulare, ha pubblicato sulla rivista Nature Medicine uno studio che getta luce sui meccanismi alla base della sindrome VEXAS, una grave malattia infiammatoria che esita in insufficienza midollare legata all’invecchiamento e colpisce 1 persona su 4.000, prevalentemente di sesso maschile, con età superiore ai 50 anni.
Il lavoro è stato coordinato dal dott. Samuele Ferrari, project leader dell’Unità di Nuove Strategie di Terapia Genica, insieme al prof. Luigi Naldini, direttore dell’SR-Tiget e ordinario di Istologia all’Università Vita-Salute San Raffaele, e al dott. Giulio Cavalli, immunologo dell’ospedale San Raffaele sino al 2022.
La sindrome VEXAS
La sindrome VEXAS è una malattia delle cellule staminali del sangue, causata da una mutazione, che si acquisisce con l’invecchiamento, a livello del gene UBA1, che fornisce le istruzioni per la sintesi di un enzima coinvolto nella degradazione delle proteine. Nella sindrome VEXAS, le cellule staminali del sangue mutate si sostituiscono progressivamente a quelle sane, ovvero quelle che non hanno acquisito la mutazione, attraverso un meccanismo chiamato emopoiesi clonale.
Le cause e le caratteristiche dell’emopoiesi clonale alla base della sindrome VEXAS rimangono sconosciute. Come conseguenza si verificano infiammazione a carico di diversi organi (febbre, lesioni cutanee, interessamento polmonare e dei vasi sanguigni, infiammazione delle cartilagini) e, da ultimo, viene compromessa la capacità del midollo osseo di generare un numero sufficiente di nuove cellule del sangue, determinando anemia e riduzione delle piastrine.
Ad oggi non esiste ancora un trattamento approvato ma possono essere utilizzati farmaci immunosoppressori con l’obiettivo di controllare l’infiammazione (es. come il cortisone o farmaci biologici) in associazione a farmaci che possano contribuire al miglioramento dei valori del sangue (eritropoietina, 5-azacitidina).
In casi selezionati, può essere offerto al paziente un trattamento con trapianto di cellule staminali emopoietiche da donatore sano. Purtroppo, ad oggi, non esistono cure risolutive e l’esito della malattia è a lungo termine infausto.
Lo studio
I ricercatori hanno dapprima studiato le caratteristiche molecolari delle cellule staminali del sangue prelevate da pazienti affetti dalla sindrome VEXAS. Hanno osservato che queste cellule mostravano segni dell’infiammazione e dell’invecchiamento precoce ed erano più propense a generare cellule del sangue del tipo mieloide, cioè monociti e granulociti che sono associati all’infiammazione, invece che cellule del tipo linfoide, cioè linfociti B e linfociti T che mediano le difese immunitarie.
I ricercatori hanno sviluppato un modello preclinico della malattia utilizzando una nuova tecnologia di editing genetico per introdurre la mutazione VEXAS nel gene UBA1 di cellule staminali ottenute da donatori sani.
Queste cellule “fotocopia” di quelle malate sono state trapiantate nel midollo osseo di ospiti murini insieme ad altre rimaste intatte per osservarne il comportamento in un organismo. Le cellule staminali mutate ricapitolavano nell’animale molte caratteristiche della sindrome VEXAS, quali alcuni segni infiammatori e di invecchiamento precoce e la propensione a generare cellule mieloidi invece che linfociti.
Soprattutto, come osservato nei pazienti, le cellule staminali mutate prendevano il sopravvento su quelle sane, sostituendosi progressivamente alle stesse. I ricercatori hanno dimostrato che l’emopoiesi clonale era dovuta non come si ipotizzava in precedenza ad una aumentata crescita delle cellule mutate rispetto a quelle sane ma alla difficoltà di sopravvivenza di queste ultime nell’ambiente infiammatorio creato dalle cellule staminali mutate e dalla loro progenie, le quali, invece, erano più resistenti.
“L’ematopoiesi clonale e le manifestazioni patologiche alla base della sindrome VEXAS sono dovute a un progressivo ‘avvelenamento’ della frazione di cellule ancora sane da parte dell’ambiente infiammatorio che quelle mutate contribuiscono a creare rimanendone resistenti” affermano le dottoresse Raffaella Molteni e Martina Fiumara, ricercatrici dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e prime autrici dello studio.
Prospettive future
“Questo studio svela nuove informazioni sui meccanismi alla base della dominanza clonale nella sindrome di VEXAS e sulle sue possibili relazioni con altre malattie del sangue legate all’invecchiamento. Il nuovo modello preclinico che abbiamo messo a punto rappresenta uno strumento importante, che speriamo possa aiutare a sviluppare nuovi trattamenti per la sindrome VEXAS e per altre condizioni che si presentano con simili alterazioni genetiche a carico delle cellule del sangue”, commenta l’ultimo autore dello studio, il dott. Samuele Ferrari.
Il dott. Ferrari è stato inoltre uno dei vincitori dell’ERC Starting Grant 2024 proprio con uno studio sulla sindrome VEXAS. “I meccanismi della dominanza clonale descritti in questo studio non solo fanno luce sulle caratteristiche cellulari della sindrome VEXAS, ma forniscono anche un punto di partenza per guidare la ricerca nel campo di altre patologie del sangue associate all’invecchiamento, contribuendo così ad ampliare la nostra comprensione di queste condizioni”, aggiunge il prof. Luigi Naldini.
La ricerca è stata sostenuta principalmente dall’American Society of Hematology e dal Ministero dell’Università e della Ricerca.