Milano, 19 maggio 2020 – Uno studio apparso sulla prestigiosa rivista scientifica Circulation, condotto in sinergia tra le Cardiologie Interventistiche della Lombardia, dimostra che nel 40% dei pazienti che hanno avuto un infarto nel periodo Covid-19, la causa non è stata l’occlusione delle arterie coronarie, ma fattori in parte collegati agli effetti collaterali del virus sul sistema cardiovascolare.
La ricerca, coordinata per il Centro Cardiologico Monzino da Daniela Trabattoni, responsabile di Unità Operativa di Cardiologia Interventistica, ha raccolto i dati dei principali centri di emodinamica in Lombardia, nel periodo 20 febbraio e 30 marzo.
“Abbiamo studiato 28 pazienti Covid colpiti da infarto e sottoposti a coronarografia in regime di urgenza – spiega Trabattoni – Nell’85% dei casi l’infarto è stata la prima manifestazione del contagio, mentre nei restanti casi i pazienti erano stati colpiti durante il ricovero per il virus. Avendo da subito adottato le più avanzate misure di protezione, abbiamo ritenuto sicuro effettuare la coronarografia, malgrado le prime raccomandazioni internazionali suggerissero di ricorrere in prima battuta alla trombolisi, cioè alla somministrazione di farmaci, che sappiamo essere non risolutiva e spesso inefficace nella dissoluzione del trombo che causa l’ostruzione delle coronarie. Grazie a questa scelta, abbiamo potuto scoprire che nel 40% dei pazienti la situazione delle coronarie era assolutamente normale e dunque la causa dell’infarto andava ricercata altrove”.
L’infarto miocardico in assenza di ostruzioni coronariche (chiamato MINOCA da Myocardial Infarction with Non- Obstructive Coronary Arteries) non è una novità: sappiamo che ha un’incidenza del 6-9%, si verifica più spesso nelle donne giovani, e ha una mortalità più bassa rispetto all’infarto miocardico dovuto all’ostruzione delle coronarie. I meccanismi fisiopatologici che sono alla base del MINOCA includono spasmo coronarico, dissezioni coronariche spontanee, disfunzione del microcircolo, microembolizzazioni coronariche, miocarditi, sindrome di Takotsubo, talora scatenata quest’ultima da condizioni di stress psico-fisico o emozioni negative intense.
“L’alta percentuale di MINOCA nei pazienti Covid – continua Trabattoni – non può che far pensare che questo particolare tipo di infarto possa essere una complicanza dell’infezione virale: il virus attacca l’endotelio, cioè il tessuto delle arterie, che reagisce rilasciando sostanze proinfiammatorie, e citochine, aumentando anche l’attivazione piastrinica. Tali meccanismi possono aumentare il rischio di danno miocardico, infarto e vasospasmo, cioè contrazione, coronarico. Ma sono appunto ipotesi che vanno verificate all’interno di studi clinici su popolazioni più ampie. Certo è che il legame fra Covid-19 e malattie cardiovascolari ci può riservare ancora molte sorprese”.
In sintesi, cosa abbiamo imparato in questo periodo di ‘tempesta’ Covid-19 circa il legame fra virus e malattie cardiovascolari?
“Le osservazioni raccolte in questo periodo di pandemia da SARS-Cov2 – conclude Trabattoni – evidenziano prima di tutto come per malattie cardiovascolari gli accessi al Pronto Soccorso sono diminuiti drasticamente allo scoppio dell’epidemia. Molti ospedali, fra cui il Monzino, hanno immediatamente segnalato questo calo di accessi per sindrome coronarica acuta. Insieme ad altri Ospedali del Nord Italia, abbiamo unito le forze nell’analisi dei dati relativi a 500 pazienti, recentemente pubblicati su New England Journal of Medicine. Questi dati hanno confermato che il ritardo nell’accesso alle cure in caso di dolore toracico, motivato da paura di contrarre l’infezione virale in ospedale, ha causato un aumento della mortalità per infarto miocardico e arresto cardiaco in questo periodo, che non può essere spiegata solo con i casi di Covid. L’ipotesi è quindi che alcuni pazienti siano scomparsi per infarto, senza neppure cercare soccorso in ospedale”.
“Fortunatamente ora la situazione sta cambiando e osserviamo un graduale ritorno alla normalità negli accessi all’ospedale. Segno che i pazienti hanno capito che centri specializzati, come il Monzino, sono stati messi in sicurezza, per poter garantire ai pazienti cure tempestive ed efficaci in totale sicurezza e protezione nei confronti del virus”.