Secondo i ricercatori dell’Università di Padova questi risultati aprono nuove importanti prospettive per la diagnosi e il trattamento dell’iperaldosteronismo primario, che oltre ad essere una forma assai comune di ipertensione arteriosa, è associato a un maggior tasso di complicanze cardio e cerebrovascolari
Padova, 10 gennaio 2018 – Una ricerca in pubblicazione in questi giorni sulla prestigiosa rivista dell’Endocrine Society (la Società di Americana di Endocrinologia), Endocrinology ha permesso di identificare alcune nuove mutazioni genetiche responsabili dell’iperaldosteronismo primario.
L’iperaldosteronismo primario è la causa più frequente di ipertensione secondaria, cioè guaribile con una terapia mirata. Purtroppo, generalmente essa non viene diagnosticata perché l’iperaldosteronismo primario può simulare completamente l’ipertensione essenziale.
Ciò significa che i pazienti vengono etichettati come ipertesi ‘essenziali’ e dovranno quindi assumere per tutta la vita una terapia farmacologica, mentre avrebbero potuto essere guariti definitivamente.
Il gruppo di ricercatori guidato dal prof. Gian Paolo Rossi della Clinica dell’Ipertensione Arteriosa dell’Università di Padova sequenziando tutto il promotore del gene TASK-2, che codifica un canale del potassio, ha identificato per la prima volta una serie di mutazioni che causano un’alterata espressione di questo canale nei tumori che producono aldosterone in modo eccessivo.
La dottoressa Livia Lenzini, una ricercatrice a tempo determinato, utilizzando un’elegante strategia di analisi molecolare, ha potuto dimostrare che queste mutazioni del gene TASK-2 sono funzionalmente rilevanti, perché sopprimono la trascrizione del gene mutato. Lo studio, condotto nell’ambito del Dottorato Internazionale in Ipertensione Arteriosa e Biologia Vascolare dell’Università di Padova, è stato realizzato in collaborazione con la Marina Militare Italiana.
I ricercatori hanno, infatti, raccolto nel 2001 il DNA di un gruppo di marinai ventenni sani in servizio su 2 navi della Marina allo scopo di accertare la presenza delle mutazioni. I marinai sono stati poi seguiti nel tempo per 16 anni al fine di accertare lo sviluppo dell’iperaldosteronismo e dell’ipertensione arteriosa.
Secondo i ricercatori questi risultati aprono nuove importanti prospettive per la diagnosi e il trattamento dell’iperaldosteronismo primario, che oltre ad essere una forma assai comune di ipertensione arteriosa, è associato a un maggior tasso di complicanze cardio e cerebrovascolari.
“Negli ultimi 6 anni, attraverso le applicazioni sistematiche delle metodologie di indagine molecolare, l’iperaldosteronismo primario è stato oggetto di scoperte senza precedenti – osserva il prof. Rossi – anche grazie ai risultati ottenuti dalla Ricerca Italiana e, in particolare, dall’Università di Padova”.