Il dosaggio dei tre biomarcatori consente di adattare la strategia terapeutica sulla base del rischio individuale di ogni singolo paziente consentendo di individuare gruppi a rischio elevato, intermedio, basso e di modulare di conseguenza la terapia connessa e la frequenza del follow-up. Lo studio è stato coordinato dai ricercatori dell’Istituto di Scienze della Vita della Scuola Sant’Anna e della Fondazione Monasterio di Pisa, con colleghi dei più importanti centri di ricerca europei e americani
Pisa, 10 gennaio 2019 – Uno studio dei ricercatori dell’Istituto di Scienze della Vita della Scuola Superiore Sant’Anna e della Fondazione Toscana Gabriele Monasterio di Pisa (Michele Emdin, Alberto Aimo, Claudio Passino, Giuseppe Vergaro, Andrea Ripoli) con gli studiosi dei più importanti centri di ricerca europei e americani (sedi a Milano, Barcellona, Milano, Minneapolis, Oslo, Tromsø, Maastricht, Groningen, Boston) è stato appena pubblicato su una rivista cardiologica tra le più prestigiose nel mondo, la statunitense Journal of the American College of Cardiology.
Lo scompenso cardiaco rappresenta la via finale comune di molte patologie cardiovascolari e una delle principali cause di ricovero e di decesso nel mondo occidentale. Il lavoro scientifico dei ricercatori italiani dimostra che il dosaggio ematico di tre biomarcatori (il recettore solubile sST2, importante indicatore di attivazione delle vie che provocano attraverso la fibrosi del cuore il suo indebolimento, l’ormone cardiaco “NT-proBNP”, indice di scompenso emodinamico e la proteina cardiaca “troponina T” dosata con metodiche ad alta sensibilità, indice di morte cellulare, questa già oggetto di studio e pubblicazione in passato da parte dello stesso gruppo) sono in grado di fornire ai clinici, quando impiegati insieme, un potente strumento di predizione del destino dei pazienti con scompenso per valutare la probabilità di ospedalizzazione per scompenso (il cui rischio aumenta sino a 10 volte quando la concentrazione di tutti e tre i biomarcatori è aumentata), per morte cardiovascolare e per morte da tutte le cause (rischio aumentato sino a sette volte).
Questa è la principale conclusione di un progetto collaborativo internazionale ideato e coordinato dai ricercatori dell’Istituto di Scienze della Vita della Scuola Superiore Sant’Anna, che ha coinvolto quattro studi europei e americani e che ha analizzato i dati di 4.268 pazienti attraverso metodiche statistiche avanzate (meta-analisi da dati individuali), stabilendo per la prima volta i valori di soglia di rischio da utilizzare per orientare la decisione clinica (27 ng/ml, 1,360 ng/L, 18 ng/L).
Il dosaggio dei tre biomarcatori consente quindi di adattare la strategia terapeutica sulla base del rischio individuale di ogni singolo paziente consentendo di individuare gruppi a rischio elevato, intermedio, basso e di modulare di conseguenza la terapia connessa e la frequenza del follow-up. Il dosaggio di sST2 è un nuovo strumento che si aggiunge all’ormone BNP/NT-proBNP e alla troponina. Questi dosaggio comunemente impiegato per la diagnosi di infarto miocardico acuto potrebbe pertanto essere utilmente impiegato anche nello scompenso cardiaco.
“Tale osservazione è assolutamente originale – sottolineano Michele Emdin e Claudio Passino, come docenti di cardiologia all’Istituto di Scienze della Vita della Scuola Superiore Sant’Anna – ha avuto ampia risonanza nel mondo cardiologico internazionale. I risultati pubblicati confermano il valore della combinazione fra i tre biomarcatori sST2 (indicatore di attivazione di vie profibrotiche), NT-proBNP (indicatore di scompenso emodinamico), troponina (indicatore di morte cellulare) per la valutazione integrata del paziente cardiopatico e la messa a punto di nuovi strumenti di diagnosi e cura di una delle patologie più frequenti e pericolose, con importanti ricadute cliniche”.