Roma, 14 novembre 2019 – Oggi al Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS i riflettori si sono accesi sulla realtà delle persone che convivono con la sclerosi multipla. Alcuni pazienti, familiari e medici hanno raccontato la propria esperienza quotidiana con questa malattia neurodegenerativa che colpisce 122 mila persone in Italia, quasi 12 mila solo in Lazio, con oltre 300 nuovi casi all’anno diagnosticati nella Regione.
Le storie delle loro sfide quotidiane e della voglia di non arrendersi hanno ispirato la creazione – in tempo reale – di un’esclusiva tavola artistica che rimarrà esposta fino al 28 novembre presso gli spazi del Centro Sclerosi Multipla del Policlinico. L’iniziativa fa parte di IO NON SCLERO, il progetto di informazione e di sensibilizzazione sulla sclerosi multipla sviluppato da Biogen e dall’Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere (Onda), in collaborazione con l’Associazione Italiana Sclerosi Multipla (AISM) e con il patrocinio della Società Italiana di Neurologia (SIN).
La sclerosi multipla rappresenta – per frequenza – la prima malattia di tipo infiammatorio cronico nel giovane adulto. La diagnosi avviene per lo più tra i 20 e i 40 anni e nel nostro Paese si contano ogni anno più di 3 mila 400 nuovi casi, 325 in Lazio1.
“Una diagnosi di sclerosi multipla spesso rivoluziona la vita delle persone, tuttavia, negli ultimi anni questa malattia ha cambiato volto, grazie alle maggiori conoscenze scientifiche e ai progressi terapeutici – commenta Massimiliano Mirabella, Direttore del Centro Sclerosi Multipla Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS – Oggi sclerosi multipla non significa più necessariamente disabilità e le persone possono affrontare la malattia mantenendo una buona qualità di vita. Ne sono testimonianza le storie e le esperienze emerse oggi durante l’evento IO NON SCLERO, che dimostrano forza, positività e confermano l’importanza di affiancare all’impegno clinico quotidiano anche momenti e strumenti di comunicazione e condivisione di esperienze, non solo di pazienti e familiari, ma anche di tutto il personale sanitario coinvolto”.