a cura del prof. Adriano Chiò, Coordinatore del Centro SLA del Dipartimento di Neuroscienze, Università degli Studi di Torino e AOU Città della Salute e della Scienza di Torino
La Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) è una malattia neurodegenerativa dell’età adulta, caratterizzata da una progressiva perdita di forza agli arti e a livello della muscolatura della fonazione, della deglutizione e della respirazione, oltre che, in circa il 50% dei, casi la funzione cognitiva, con un quadro che può giungere fino a quello di un franca dementa frontotemporale. La diagnosi di SLA si basa soprattutto sul quadro clinico e sulla storia di progressivo peggioramento della funzione motoria ed è supportata da alcuni esami strumentali, in particolare l’elettromiografia, ma non vi sono biomarcatori diagnostici specifici della malattia.
L’assenza di biomarcatori diagnostici della SLA determina un ritardo diagnostico medio di circa un anno. Tale ritardo impedisce al paziente di iniziare precocemente terapie farmacologiche e di supporto, così come di essere incluso in trial terapeutici. La ricerca di marcatori di diagnosi precoce rappresenta pertanto un obiettivo fra i più rilevanti della ricerca nella SLA. Negli ultimi anni, in particolare vi sono stati progressi nell’ambito dei biomarcatori umorali, fra i quali i più promettenti sono i livelli liquorali e sierici di catene pesanti dei neurofilamenti e il rapporto fra proteina tau fosforilata e totale nel liquor. Entrambi i marcatori hanno un’elevata sensibilità e specificità nel distinguere i pazienti con SLA dai controlli sani, ma non è ancora chiaro se siano in grado di differenziare i pazienti con SLA da soggetti con malattie che vanno in diagnosi differenziale con SLA, come le mielopatie cervicali, le polineuropatie motorie o la sclerosi laterale primaria.
Un altro campo in rapida evoluzione nella diagnosi precoce della SLA sono le neuroimmagini. La risonanza magnetica, soprattutto grazie alle nuove tecniche di acquisizione delle immagini e di analisi dei dati, ha permesso di migliorare nettamente l’identificazione delle lesioni della via piramidale, oltre che la compromissione di aree extramotorie, fornendo un rilevante aiuto nella diagnosi della SLA. In parallelo si sono avuti rilevanti progressi nello studio dei pazienti con SLA mediante tomografia ad emissione di positroni con 18fluoro-desossiglucoso. Utilizzando particolari algoritmi, è stata dimostrata un’elevata sensibilità e specificità di questa tecnica nel differenziare pazienti con SLA da controlli sani e pazienti con malattia che simulano la SLA.
Non è attualmente ancora possibile una diagnosi presintomatica di SLA, anche se iniziali informazioni ci stanno arrivando dallo studio di soggetti portatori di mutazioni di geni correlati alla SLA, come SOD1 e C9ORF72, nei quali non si è ancora sviluppata la malattia. Soprattutto gli studi di neuroimmagine sembrano permettere di rilevare lesioni in fase presintomatica, che sono indicative di un processo patologico già presente ma non ancora sfociato in un quadro clinico di malattia.
Si può pertanto concludere che la ricerca di un biomarcatore di diagnosi precoce di SLA non rappresenta più un traguardo molto lontano. Il raggiungimento di tale meta è molto importante, sia per permettere un inizio precoce di terapie, sia per accelerare i trial terapeutici volti all’identificazione di terapie più efficaci in grado di modificare in modo significativo di decorso della malattia.
fonte: ufficio stampa