Un gruppo internazionale di ricercatori è impegnato nel decifrare i meccanismi molecolari alla base della malattia. Nel “CommonMind Consortium” c’è l’Università di Trento con Enrico Domenici del CIBIO. I primi risultati pubblicati dalla rivista “Nature Neuroscience”
Trento, 6 ottobre 2016 – Numerosi i geni sospetti. Poi, ulteriori interrogatori, hanno portato a individuare alcuni colpevoli. Sarebbero almeno tre di loro, insieme ad altri responsabili, a renderci vulnerabili. La scoperta potrebbe aprire in futuro nuove prospettive di cura.
Il problema si chiama schizofrenia. Ad essere impegnati negli interrogatori sono i ricercatori di un gruppo internazionale. Tra loro c’è Enrico Domenici del CIBIO – Centro per la Biologia integrata dell’Università di Trento.
“Grazie ai recenti progressi della genomica – spiega Domenici (Laboratory of Neurogenomic Biomarkers, CIBIO) – ora sappiamo che ci sono numerose e sottili variazioni, posizionate su più di 100 regioni diverse del genoma, che possono aumentare il rischio che un individuo sviluppi nella sua vita questo grave disturbo psicotico, ma veramente poco sappiamo su come ciò avvenga”.
Il lavoro dei ricercatori è iniziato quattro anni fa, quando è stato lanciato un consorzio internazionale (the CommonMind Consortium), composto da ricercatori appartenenti a nove istituzioni di quattro Paesi diversi, finanziato da fondi sia pubblici sia privati. Obiettivo del consorzio: decifrare (e mettere a disposizione di tutta la comunità scientifica) i meccanismi molecolari che entrano in gioco nel cervello di pazienti affetti da disturbi mentali. La rivista “Nature Neuroscience” nei giorni scorsi ha dato notizia della prima tappa verso l’identificazione di alcuni dei geni colpevoli.
Domenici racconta: “Siamo partiti dall’analisi di tessuti cerebrali autoptici provenienti da più di 600 donatori, sia malati di schizofrenia sia sani. Grazie a sofisticate tecnologie di sequenziamento e analisi di dati, siamo riusciti a identificare all’interno delle 100 regioni una serie di varianti genetiche responsabili di cambiamenti nei processi cerebrali a livello molecolare. Con un interrogatorio più accurato siamo riusciti a identificare cinque geni sospetti. E mettendoli alla prova abbiamo trovato che tre di essi sono capaci di indurre in sistemi modello dei deficit simili a quelli trovati nei tessuti di pazienti schizofrenici. Questa tappa apre inattese prospettive verso la comprensione dei meccanismi genetici che, insieme ad altri, contribuiscono allo sviluppo della schizofrenia. La ricerca ora prosegue: analizzando l’attività dei geni colpevoli speriamo di poter sviluppare in futuro nuovi approcci terapeutici”.
fonte: ufficio stampa (Fotoservizio Giovanni Cavulli per Università di Trento)